“Quando il gigante incespica, tutti lo notano”. Un nuovo capitolo si aggiunge alla saga delle battaglie antitrust contro Google, questa volta dalla Cina. La State Administration for Market Regulation (SAMR) ha avviato un’indagine ufficiale sul colosso di Mountain View per presunte violazioni delle leggi anti-monopolio, nonostante l’azienda sia di fatto esclusa dal mercato cinese.
La tempistica dell’indagine non è casuale e si colloca in un contesto di crescenti tensioni commerciali sino-americane, acuite dalle politiche protezionistiche dell’era Trump. L’iniziativa di Pechino sembra essere più una mossa strategica nel complicato scacchiere delle relazioni internazionali che un’azione con effetti pratici immediati.
L’autorità antitrust cinese mantiene il riserbo sui dettagli specifici delle presunte violazioni, ma l’inchiesta si inserisce in un trend globale di crescente pressione regolatoria sulle big tech. Google sta già affrontando sfide simili sia negli Stati Uniti che in Europa, dove le autorità hanno proposto soluzioni drastiche come la cessione di Chrome e Android.
Nel panorama occidentale, le autorità hanno già imposto misure concrete: il Dipartimento di Giustizia americano spinge per lo smembramento dell’impero Google, mentre l’UE ha implementato regolamenti per favorire una maggiore competizione nel mercato digitale.
La particolarità di questa indagine risiede nel fatto che Google non opera direttamente in Cina dal 2010. Tuttavia, l’iniziativa di Pechino sottolinea la determinazione del governo cinese nel rafforzare il controllo sul settore tecnologico e nel proteggere gli interessi nazionali.
Mentre il mondo attende una reazione ufficiale da parte di Google, questa nuova indagine mette in evidenza come le tensioni tecnologiche tra le due superpotenze continuino a influenzare gli equilibri dell’economia digitale globale.