Il gruppo di Mountain View non è al momento sotto indagine da parte di nessun organo, in nessun paese, per quanto riguarda le strategie attuate per il pagamento delle tasse. Della questione si è parlato più volte negli ultimi mesi, con l’azienda californiana (ma non solo) finita al centro di pesanti critiche per aver sistematicamente spostato i profitti generati in un territorio verso i cosiddetti paradisi fiscali, al fine di versare meno imposte negli stati un cui opera. Nick Leeder, a capo delle divisioni di Google per Australia e Nuova Zelanda, è intervenuto oggi per ufficializzare che la società non si trova coinvolta in alcun procedimento legale.
Tutto è nato quando è stato reso noto che nel 2011 Google ha mosso 9,8 miliardi di dollari alle Bermuda, evitando così di sborsare quasi due miliardi di tasse. Una questione che riguarda direttamente anche l’Italia, come testimonia la visita delle Fiamme Gialle nella sede della sezione nostrana avvenuta a fine novembre. In sintesi, l’escamotage utilizzato è definito in gergo “double irish dutch sandwich” e permette di inviare il denaro verso paesi con una tassazione inferiore facendolo transitare attraverso Irlanda e Olanda. Una pratica che, va precisato, non ha alcunché di illegale, ma che evidentemente si inserisce in un vuoto legislativo che gli stati europei hanno già dichiarato l’intenzione di voler colmare.
Tornando alla dichiarazione di Leeder, il suo appello è rivolto ai vertici dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), affinché venga studiata una soluzione da attuare a livello internazionale, senza lasciare che siano i singoli territori a decidere con normative differenti tra loro.
Non ci sentiamo sotto inchiesta, ma comprendiamo l’entità del problema. Siamo consci del fatto che la questione dev’essere affrontata con la cooperazione dei diversi stati. Non è possibile trovare una soluzione per ogni singolo paese. Penso che OECD sia la sede giusta per discuterne.
Stando alle cifre riportate da Canberra Times, nel 2011 Google Australia ha dichiarato di aver versato nelle casse del fisco locale 781.000 dollari, a fronte di entrate pari a circa un miliardo. I documenti citati dalla redazione parlano però di un rapporto ben diverso tra profitti e imposte, con solo 74.000 dollari di tasse pagate.