A qualche ora dalla notizia, fornita da Google stessa, che chiuderà l’aggregatore di notizie in Spagna come forma di difesa dalla nuova legge sul diritto d’autore in vigore a gennaio, si accumulano le riflessioni, un po’ sconcertate, del mondo dell’informazione e della innovazione della rete. Due mondi che non avevano voglia di sentirsi l’uno contro l’altro, e ne hanno ragione: un fresco studio internazionale dimostra come il punto di vista degli editori spagnoli sia tragicamente errato.
Lo studio intitolato “Effetti dei motori di ricerca sul pluralismo dell’informazione” avrebbe catturato oggi soltanto l’attenzione degli addetti ai lavori se non fosse stata annunciata questa decisione senza precedenti. Il report dell’Istituto Italiano per la Privacy e la Valorizzazione dei Dati, curato dall’avvocato Luca Bolognini insieme a Giuseppe Ragusa, Camilla Bistolfi, Francesco Corea, Lucio Scudiero, casca invece a fagiolo: nelle sue 39 pagine si dimostra oggettivamente sia sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali, sia dal punto di vista econometrico, che «i motori di ricerca e gli aggregatori di notizie sono formidabili abilitatori del pluralismo», specialmente a favore dei piccoli editori.
Google News si spegne in Spagna, @IstitutoPrivacy: decisione giusta ma terribile. E noi presentiamo il nostro studio http://t.co/AOZwWrWEbJ
— Istituto Italiano per la Privacy (IIP) (@IstitutoPrivacy) December 11, 2014
Cosa dice lo studio
Vale la pena leggere lo studio dell’istituto della privacy, perché raccoglie in una cornice europea tutte le norme, le dichiarazioni e soprattutto le direttive EU che riguardano la proprietà intellettuale, la libertà di espressione, i concetti sempre più raffinati e complessi di editori, prestatori, fornitori, nei termini della controversa estensione del concetto di editore ai motori di ricerca. La conclusione principale dello studio è che i motori di ricerca sono una forma particolare di ISP, e non un editore; proprio perché non hanno alcun potere di controllo sui contenuti e per questo sono esclusi dalla responsabilità editoriale, è insensato porli a concorrenza degli editori.
Per lo stesso principio, si può escludere la responsabilità editoriale dei motori quando essi forniscono risultati di ricerca «che costituiscono semplicemente un collegamento con le pagine dei content providers». Secondo gli autori dello studio, l’unica preoccupazione che un cittadino europeo e la politica europea devono avere in relazione agli aggregatori consiste nel sincerarsi che non distorca in alcun modo la concorrenza altrui:
In altri termini, un motore di ricerca non dovrebbe avere preferenze proprie, bensì esprimere le preferenze degli utenti della rete.
La seconda parte dello studio affronta il tema della dipendenza dei siti di informazione dal traffico dei motori, sottolineando come esista una correlazione positiva tra il traffico derivante dai motori di ricerca e la variazione di posizione occupata da un sito nel ranking, ma un sito di informazione di una certa dimensione non può pensare di puntare solo su quel traffico, mentre i siti piccoli crescono in media di più e la metà di tale crescita è attribuibile ai motori di ricerca (come ad esempio nel caso italiano che si vede nel grafico). Per questo si può affermare che i motori di ricerca abbiano un effetto più intenso su siti di dimensioni minori e anche in questo mostrano la loro utilità nella promozione del pluralismo.
Un altro errore denunciato dallo studio è quello afferente l’attività dell’Agcom, che ha sempre insistito perché il legislatore rivedesse le aree economiche rilevanti in modo da tenere conto del ruolo del web rispetto alle dinamiche limitative del pluralismo. Ciò ha comportato la sua inclusione (compresi i motori di ricerca) tra i mercati oggetto di vigilanza da parte dell’authority, contribuendo alla confusione sull’argomento:
Considerare gli introiti pubblicitari del motore di ricerca all’interno dei mercati rilevanti per la regolazione ex ante a fini di tutela del pluralismo dell’informazione, significa ritenerlo responsabile dei contenuti stessi che indicizza, come se questi avesse la possibilità di controllarne il merito.
Google in sala spagnola
Ma è davvero così pregnante il punto di vista degli editori, spagnoli, o italiani, o tedeschi? Oppure insisteranno a chiedere denaro al di là di ogni ragionevole dimostrazione contraria? Certamente Google ha compreso che il problema nasce non tanto dall’incapacità di comprendere cosa sia un aggregatore di notizie linkate, quanto piuttosto dal caso, sempre spagnolo, che ha aperto la sentenza sul diritto all’oblio: il giorno in cui si è scisso l’interesse pubblico alla notizia dal diritto di ricercarla, si è limitata di fatto la libertà d’informazione e tutto il resto è disceso. L’avvocato Bolognini giustifica quindi la decisione di Google:
Una scelta giusta e, a mio avviso, condivisibile, seppur terribile per gli utenti: i rischi legali, per Google, nel continuare a tenere accese le News in Spagna erano troppo alti, vista la legge che entrerà in vigore da gennaio 2015 che di fatto impedisce il diritto di citazione delle notizie. In Europa abbiamo legislazioni obsolete, assai analogiche e ben poco digitali, che non tengono conto del ruolo cruciale svolto da motori di ricerca e aggregatori a favore del pluralismo dell’informazione. Da anni, come Istituto, ci occupiamo del delicato confine tra privacy, proprietà intellettuale e libertà d’informazione: e ora, mentre Google chiude un servizio utilissimo perché costretta a farlo da regole d’altri tempi, tutti gli utenti spagnoli saranno più poveri di idee e di notizie.