Google non è un buon medico

Google dovrebbe controllare con maggiore attenzione gli annunci pubblicitari e i link sponsorizzati legati alla salute pubblicati nelle sue pagine dei risultati. Secondo un recente studio, tali pubblicità sarebbero speso deleterie e fuorvianti
Google non è un buon medico
Google dovrebbe controllare con maggiore attenzione gli annunci pubblicitari e i link sponsorizzati legati alla salute pubblicati nelle sue pagine dei risultati. Secondo un recente studio, tali pubblicità sarebbero speso deleterie e fuorvianti

Gli annunci pubblicitari e i link sponsorizzati su farmaci e consigli medici forniti da Google possono costituire un rischio per la salute. Non sembra avere dubbi in proposito Marco Masoni, ricercatore presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Firenze, che insieme a un gruppo di colleghi ha recentemente condotto uno studio sull’advertising legato ai prodotti sanitari del famoso colosso delle ricerche. Gli annunci pubblicitari sulle pagine dei risultati di Google si sono rivelati spesso fuorvianti o legati a siti web che promettevano cure e soluzioni mediche potenzialmente pericolose per la salute degli utenti.

Pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica British Medical Journal, la ricerca mette in evidenza come il motore per le ricerche di Mountain View non adotti a oggi filtri sufficientemente efficaci per limitare la presenza di link sponsorizzati a siti che offrono e vendono cure al di fuori dei normali protocolli medici, sfruttando spesso la scarsa conoscenza in materia degli utenti cui si rivolgono. Nel documentato rapporto, i ricercatori propongono un interessante esempio legato a un’unica e semplice chiave di ricerca, che li ha condotti verso lidi digitali inaspettati.

Il team di Masoni ha cercato attraverso Google la parola “aloe”, una pianta dalla quale viene estratta l’omonima sostanza utilizzata principalmente in ambito erboristico. Nella pagina dei risultati per la chiave di ricerca sono così comparsi alcuni link sponsorizzati che raccomandavano l’utilizzo dell’Aloe arborescens, una pianta che secondo alcuni sostenitori delle cure alternative sarebbe in grado di prevenire e curare il cancro. Uno dei siti raggiungibili attraverso i collegamenti a pagamento di Google recitava: «Il cancro può essere curato! La cura di padre Romano Zago, Aloe Arborescens, ha guarito molte persone dal cancro!» e invitava gli utenti a procedere all’acquisto di alcune preparazioni a base di aloe.

Un messaggio pericoloso, specialmente per quegli individui colpiti dalla malattia, che comprensibilmente non escludono alcuna soluzione per trovare una cura, finendo però spesso vittime di raggiri o di cure più dannose che utili. «Mostrare un annuncio pubblicitario che collega l’aloe e il cancro in risposta a una ricerca con la sola parola chiave “aloe” è inappropriato. Peggio ancora quando il sito web linkato contiene false dichiarazioni mediche» scrivono Masoni e colleghi nella loro ricerca da poco pubblicata, giungendo a una conclusione molto severa nei confronti di Google proponendo un’unica via di uscita per eliminare il problema: «Se il miglioramento dei filtri si rivelasse troppo complicato, sarebbe meglio non mostrare link sponsorizzati nelle pagine dei risultati legati a termini medici e prodotti sanitari».

La società di Mountain View attua numerosi controlli per scongiurare la presenza di annunci pubblicitari fuorvianti o potenzialmente pericolosi per la salute dei suoi utenti, ma la relativa facilità con la quale si possono creare le campagne pubblicitarie su AdWords rende spesso difficile la rapida identificazione di chi non rispetta le linee guida. Il problema legato all’advertising di medicinali e soluzioni sanitarie potrebbe complicarsi ulteriormente con la progressiva diffusione di Google Health. Tale sistema consente a ogni utente di mantenere online la propria storia clinica, organizzando le informazioni sanitarie e rendendole disponibili ai propri medici. La possibile presenza sulle pagine del servizio di annunci pubblicitari contestuali, dunque di carattere medico, potrebbe amplificare le contraddizioni evidenziate da Masoni, spingendo Google a rivedere sensibilmente le sue attuali politiche per l’advertising di prodotti e servizi legati alla salute.

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