Sembra un film già visto: era il 2001 quando Google, che già da un po’ di tempo si era affermato come motore di ricerca preferito dai navigatori, mise le mani su Deja.com, l’archivio che raccoglieva i post inviati su USENET; come conseguenza dell’acquisizione, l’archivio rimase irraggiungibile per alcune settimane e ci fu chi gridò allo scandalo: Deja.com, la memoria storica di Internet, rischiava di scomparire. Ma le proteste si tramutarono ben presto in approvazione, quando Google non solo riattivò il sito (con il nome di Google Groups), ma restaurò tutti i post, risalendo fino al 1981, il che fece tornare alla luce alcune chicche: Linus Torvalds che chiede aiuto per mettere a punto un nuovo sistema operativo; Marc Andreessen che annuncia il browser NCSA Mosaic; il tutto, arricchito dalla proverbiale potenza dell’algoritmo di ricerca di Google. La comunità del Web andò in brodo di giuggiole.
A distanza di due anni, il motore di Mountain View mette nuovamente i piedi nel piatto dei Web maniaci, acquistando Blogger, il più grande sistema di weblog. Nuovamente la comunità della Rete, per la quale i blog sono gli eredi ideali di USENET, si mobilita; e accanto a chi esulta, salutando la definitiva consacrazione dei weblog come fenomeno della Rete nel Duemila, c’è chi mugugna, temendo che Google abbandoni il suo focus nel campo delle ricerche e punti a diventare una media company globale, ripetendo l’errore di Yahoo! e di America Online. Addirittura, c’è chi inizia a parlare di monopolio.
Non ci sono dubbi sul fatto che Google si sia finora impegnata come nessun’altra compagnia per conservare le simpatie degli utenti. Basti pensare al rifiuto di esporre banner sul sito, o alla politica per la quale i risultati a pagamento (gli Ad-words) debbano risultare chiaramente distinguibili da quelli generati dal motore. Google è stata così generalmente considerata una «good company», ovvero un’azienda buona, corretta, leale nei confronti dei consumatori.
Per questo fa una certa impressione vederla paragonata oggi, su siti come WebmasterWorld, a Microsoft; e non si tratta semplicemente delle lamentele di qualche smanettone idealista: un commentatore della BBC, Bill Thompson, ha chiesto espressamente che la giustizia cominci ad indagare su Google, così come ha fatto con Microsoft: «Google è una compagnia privata statunitense che ha come politica quella di raccogliere più informazioni possibili su chiunque utilizzi il suo motore», ha scritto Thompson. «Google probabilmente conosce l’ultima volta nella quale avete pensato di essere incinte, quali malattie hanno avuto i vostri bambini, chi è il vostro avvocato divorzista».
L’attacco di Thompson si basa su una vecchia polemica riguardante i cookie di Google, programmati per cancellarsi solo nel 2038, e la sua toolbar, accusata di essere uno spyware, un programma spia. Certo non aiuta, in questo clima, l’alone di mistero che circonda la compagnia dal giorno dell’acquisizione di Blogger. Dal quartier generale di Google nessuno ha risposto alla domanda: «Cosa volete farci con i weblog?»; persino il fondatore di Blogger, Evan Williams, ha interrotto gli aggiornamenti del sito nel quale aveva raccontato la sua vita negli ultimi tre anni.
Ma c’è chi è pronto a scommettere che, come due anni fa, quelli di Google stiano preparando una mossa a sorpresa per mettere a tacere le polemiche e portare dalla loro parte i navigatori: un regalo per la comunità. Wired Magazine ha recentemente intervistato Chris Cleveland, amministratore di una compagnia di Chicago che ha lavorato per Blogger fino a gennaio. Chris stava mettendo a punto un sistema che avrebbe permesso di effettuare ricerche avanzate tra i blog, trovando chi aveva scritto cosa, quando, con quali link e addirittura la popolarità del blogger nella comunità. Chris è convinto che Google voglia ora realizzare quel progetto.
La sorpresa che Google vuole regalare ai navigatori è però qualcosa di più di un semplice motore di ricerca per weblog: il sistema messo a punto da Chris Cleveland indicizzava i cosiddetti feed RSS (Rich Site Summary), uno standard sempre più diffuso che permette di condividere i contenuti tra numerosi siti assegnando loro una struttura predefinita basata sul linguaggio XML (HTML.it ha allestito una pagina sui feed RSS). L’XML è alla base del Web del futuro immaginato da Tim Berners-Lee e dal W3C: il Web Semantico, un Web “intelligente”, nel quale gli agenti di ricerca sappiano comprendere il contenuto di un documento in modo da restituire risultati coerenti e mettere in collegamento in maniera logica l’enorme mole di dati presente online. Qualcosa di totalmente differente dalle ricerche odierne, basate sulla presenza di una parola in un documento e in quelli che lo linkano.
Ecco cosa Google pensa di offrire alla Rete: «un primo, piccolo passo sulla strada del Web semantico», per dirla con le parole di Chris Cleveland. Se ci riuscirà, si può giurare che tutte le critiche di questi giorni saranno riassorbite, come già avvenne nel 2001.