Parola d’ordine: velocità. Già, perché l’impressione è che tutto, in casa Google, sia creato e ottimizzato per soddisfare l’aspetto delle prestazioni e della migliore efficienza possibile in fatto di rapidità d’esecuzione.
Un obiettivo che BigG si è posto ai tempi del lancio di Google Chrome, ad esempio, e che adesso vuole raggiungere anche con SPDY, un nuovo protocollo Internet che promette un passo avanti rispetto al conosciutissimo e attuale protocollo HTTP.
Per capire qual è lo scopo di SPDY basta solamente capire cosa significa il suo nome, una sigla apparentemente “illegibile” ma che, se letta secondo le regole della fonetica inglese, richiama una certa assonanza con la parola “speedy”, ovvero “velocità”, come dire: “ogni riferimento è puramente voluto”.
Con SPDY Google promette quindi di portare l’esperienza della navigazione sul Web ad un nuovo livello, ad un livello in cui dati e informazioni viaggeranno in maniera più efficiente e decisamente più veloce.
L’idea di Google probabilmente nasce dalla consapevolezza che il Web sta evolvendo insieme ai suoi utenti, dato che sempre più servizi vengono usati online: ci si collega per informarsi, per vedere film e video, per giocare e per fare mille altre cose. Un utilizzo “pieno” della Rete che probabilmente richiederà strumenti e infrastrutture adeguate al traffico del futuro.
La risposta quindi, secondo quanto trapela dagli uffici del Googleplex, è un protocollo Internet tutto nuovo, capace di incrementare la velocità del caricamento dei 25 siti più importanti del Web di ben il 55%, almeno stando ai risultati ottenuti con una versione modificata e resa compatibile con il nuovo SPDY di Google Chrome.
Prestazioni interessanti sicuramente per uno standard che, tuttavia, non ha intenzione di sostituire il “vecchio” HTTP, quanto semmai di affiancarsi ad esso. Come però non si sa, almeno per adesso, in quanto forse è ancora troppo presto e non si conoscono quindi altri dettagli su SPDY.
Vedremo quali saranno le prossime mosse di Google, se renderà cioè il proprio standard open source per chiedere la collaborazione di terzi o se preferirà lavorare per conto suo su quello che potrebbe essere il futuro di Internet.