Un report firmato da Campaign for Accountability, ripreso oggi dal Wall Street Journal che ne ha amplificato l’impatto a livello mediatico, mette sotto la lente d’ingrandimento il sostegno economico fornito da Google al mondo della ricerca. Viene formulata l’ipotesi che, attraverso il finanziamento dei progetti (pubblici e privati), il gruppo di Mountain View sia in grado di influenzare le pubblicazioni accademiche a suo favore, portando alla redazione di documenti che trattano del proprio business sotto una luce esclusivamente o quantomeno eccessivamente positiva.
La replica di bigG non si è fatta attendere e si è concretizzata con un intervento condiviso sulle pagine del blog ufficiale. Anzitutto, la società si difende ribadendo ciò che tutti già ben sanno: l’azienda finanzia la ricerca, lo fa da sempre e continuerà a farlo, definendosi orgogliosa delle forti relazioni intessute nel corso degli anni con il mondo della formazione, con le università e con gli istituti. Passa poi all’attacco, ricordando che l’accusa di scarsa trasparenza giunge da un’organizzazione, Campaign for Accountability, che da sempre rifiuta di esplicitare l’elenco completo dei suoi finanziatori.
Uno dei pochi noti è Oracle, colosso per lungo tempo impegnato in una battaglia legale con Google in merito all’utilizzo delle API Java nel sistema operativo Android. L’intervento prosegue poi citando le tante pubblicazioni che nel tempo hanno preso di mira l’operato di bigG (centinaia secondo il post), a firma di gruppi finanziati da altri concorrenti come AT&T, MPAA, ICOMP e FairSearch. In chiusura la stoccata finale.
Siamo orgogliosi dei nostri programmi e della loro integrità. Campaign for Accountability e i suoi finanziatori, chiaramente, non possono dire altrettanto.
Il gruppo di Mountain View afferma di appoggiare economicamente la ricerca in ambito accademico seguendo i principi della trasparenza e dell’indipendenza di chi ne beneficia. I fondi messi a disposizione delle istituzioni a sostegno dei progetti, nell’organizzazione di eventi e conferenze non avrebbero dunque alcun secondo fine legato ad esercitare un’influenza sul mondo della politica o su quello dell’istruzione.