Google aiuterà Samsung se dovrà pagare Apple

Se Samsung perderà nella causa statunitense contro Apple, Google la aiuterà a pagare una parte delle spese o tutte, in base ai brevetti usati.
Google aiuterà Samsung se dovrà pagare Apple
Se Samsung perderà nella causa statunitense contro Apple, Google la aiuterà a pagare una parte delle spese o tutte, in base ai brevetti usati.

Google avrebbe accettato di difendere Samsung nella causa contro Apple per alcuni brevetti oggetti della disputa in corso a San Jose, e per tale motivo pare che aiuterà la casa sudcoreana a pagare Apple in maniera totale o parziale qualora Samsung dovesse perdere la causa.

Lo si apprende da Re/Code, che ha riportato la testimonianza di James Maccoun, uno degli avvocati di Google. In definitiva se Samsung dovrà pagare Apple per aver utilizzato indebitamente una o più delle proprietà intellettuali contestate, Google si occuperà di pagare almeno una parte delle spese di rimborso.

Dei quattro brevetti per cui Google si è offerta di coprire almeno alcuni dei costi, due sono stati ritirati prima che il processo prendesse il via: quelli che rimangono validi sono i numeri 414 e 959, relativi alla sincronizzazione in background e alla ricerca universale. La compagnia di Mountain View è obbligata ad aiutare Samsung a causa del “Mobile Application Distribution Agreement”, ovvero quel contratto che permette a Samsung di includere le app Google – come Gmail e Play Store, ad esempio – nei propri smartphone e tablet. I produttori terzi di dispositivi non sono infatti autorizzati a modificare il codice delle applicazioni Google e quindi se i brevetti si applicano anche a tali app, ha senso che la compagnia aiuti i partner qualora ne abbiano bisogno.

Apple non può citare Google in giudizio poiché la compagnia non produce direttamente dispositivi, e quindi ha preso di mira la sua maggior rivale, che rischia di pagarle fino a due miliardi di dollari per risarcimento danni. Samsung sostiene di non aver usato i brevetti oggetto della causa e soprattutto sta tentando di dimostrare che gli stessi non sono validi, perché sviluppati ancora prima del primo iPhone.

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