La concorrenza attacca, Google risponde. Dopo le accuse mosse da alcune società nei confronti del colosso delle ricerche, le cui presunte colpe sarebbero quelle di aver abusato della propria posizione dominante per favorire i propri prodotti, la società di Mountain View è scesa in campo per difendersi. A presentarsi dinanzi ad alcuni membri del Senato USA è stato Eric Schmidt, ex-CEO del gruppo, il quale ha rigettato ogni accusa.
Diversi sono i prodotti sotto accusa: si parte da Android, si passa per Google Product Search e si arriva ai servizi di advertising targati “Big G”. La piattaforma del robottino verde, ritenuta dalla società open source, è finita al centro della vicenda dopo che alcune società concorrenti hanno riscontrato un atteggiamento ostruzionista da parte di Google, il cui motore di ricerca sarebbe l’unico utilizzabile sui dispositivi Android. Per quanto riguarda Product Search, invece, i sospetti riguardano i risultati forniti dalle ricerche.
La difesa di Schmidt si è dunque articolata in più punti. Per difendere l’OS mobile l’ex CEO del gruppo ha tenuto ancora una volta a ribadire la natura aperta dello stesso, mettendo in evidenza la chiusura di alcune aree della piattaforma, ritenute tuttavia indipendenti dalle argomentazioni presentate dall’accusa. Secondo Schmidt, infatti, Google avrebbe messo tutti i produttori di dispositivi Android nelle condizioni di poter scegliere a proprio piacimento il motore di ricerca predefinito, senza alcuna imposizione forzata.
La presenza di link interni alle pagine Google all’interno dei risultati di Product Search, quasi sempre alla terza posizione, sarebbe invece il frutto di una semplice elaborazione automatica tramite un algoritmo di computazione che andrebbe a selezionare i risultati ritenuti migliori per gli utenti, soprattutto dal punto di vista della velocità di calcolo. La presenza di risultati interni al terzo posto, ha spiegato Schmidt, deriverebbe dall’andamento delle tecnologie: 10 anni fa, ad esempio, ci sarebbero potuti essere 10 link verso pagine esterne prima di quelle interne al sito web della società, la quale in precedenza cercava sempre di reindirizzare gli utenti verso siti web di terze parti. Il posizionamento dei risultati sarebbe dunque il frutto di un calcolo del tutto naturale, basato su criteri indirizzati a fornire un servizio sempre migliore agli utenti finali.
Nel difendere la propria società Schmidt ha inoltre tenuto a precisare che «non tutte le aziende sono fatte della stessa pasta», con una chiara allusione a Microsoft, rivale storica del gruppo di Mountain View finita anch’essa nel mirino dell’antitrust a più riprese. La posizione di Google è dunque piuttosto chiara: ogni accusa proveniente dalla concorrenza non sarà mai accolta dal gruppo, il cui operato sarebbe del tutto legittimo.