Nel nome della libertà Google sfodera l’arma della trasparenza e sfida il mondo intero. Lo fa rendendo note le cifre che quantificano gli interventi portati avanti nei singoli paesi per richiedere dati al gruppo o per imporre la rimozione di contenuti vari. Lo fa insinuando una verità che intende usare come vessillo di libertà: gli stati sovrani intervengono ripetutamente, nel nome della legge, limitando la libertà di espressione degli utenti. Google non punta il dito, ma porta avanti soltanto dei numeri nel nome della trasparenza: gli utenti traggano le proprie conclusioni.
L’intervento Google è significativo fin dalla firma poichè è portato online da David Drummond, Chief Legal Officer del gruppo, condannato in Italia per il famigerato caso che ha visto la giurisprudenza nostrana attribuire specifiche responsabilità a Google Video per un filmato divenuto tristemente famoso. Spiega Drummond (in favore del quale Google ha preannunciato appello): «Stiamo già tentando di essere tanto trasparenti quanto attenti alla legge nel rispettare le richieste. Ovunque possiamo, notifichiamo agli utenti le richieste che li coinvolgono personalmente. Se rimuoviamo contenuti nei risultati della ricerca, mostriamo un messaggio agli utenti. I numeri che condividiamo oggi portano questa trasparenza un passo avanti e riflettono il numero totale delle richieste che abbiamo ricevuto».
«Condividiamo anche i numeri delle richieste di rimozione dei contenuti a cui non abbiamo dato seguito». E se oggi Google si trova costretta a fermarsi a questo punto, promette però di fornire maggiori dettagli sulle rimozioni avvenute appena sarà possibile.
Google ha inserito i propri dati su di una mappa comprendendo tutti gli interventi registrati nell’ultimo semestre del 2009:
Mappa delle richieste dei governi a Google
Brazile (291), Germania (188, nell’11% dei casi per materiale neonazista), India (142), Stati Uniti (123), Corea del Sud (64), Regno Unito (59), Italia (57). La classifica conta lo specifico degli interventi censori portati a compimento, segnalando inoltre per ogni singola nazione lo specifico della situazione. Per l’Italia le richieste di dati relativi agli utenti sono 550, mentre le richieste di interventi censori sono così suddivise (dati peraltro poco omogenei, poichè ogni richiesta è differente dalle altre e spesso comprendente più contenuti o più riferimenti):
- il 75.4% delle richieste di rimozione è stato ottemperato totalmente o parzialmente
- 7 Blogger (court order)
- 1 Blogger
- 1 Google Video
- 1 Groups (court order)
- 2 Web Search (court order)
- 6 YouTube (court order)
- 39 YouTube
Ignoti i dati relativi alla situazione cinese poichè le richieste e le conseguenze delle stesse sono considerati segreto di stato. Ma gli sforzi di comunicare quanti più dati possibili sono visti da Google come una necessità per il bene comune. Drummond lo spiega sul blog ufficiale e lo conferma con un articolo firmato sul Washington Post: «Noi di Google crediamo che una grande trasparenza possa portare ad una minore censura online […]. Storicamente i dati relativi a queste attività non sono pubblicamente disponibili, ma vogliamo cambiare le cose».
Google spiega di voler portare avanti la propria iniziativa nel pieno rispetto della libertà di espressione, invocando l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che, composto nel 1948, secondo Drummond ancor oggi può essere applicato alla realtà della Rete. «Nello spirito di questo principio, speriamo che questo strumento possa gettare una luce sulla scala, sulla portata e sugli scopi delle richieste governative di censura e di dati nel mondo. Speriamo anche che questo sia solo il primo passo per accrescere la trasparenza su questo tipo di azioni sulle aziende di tecnologia e comunicazione».