Nuova mossa di Mountain View per difendere la sua reputazione a seguito dello scandalo PRISM e della agenzia di sorveglianza nazionale (NSA). A differenza delle altre compagnie implicate, Big G ha deciso di mantenere un atteggiamento più duro, di contrasto diretto alla pratiche dell’agenzia. Il passo deciso è un ricorso alla Corte citando addirittura il Primo Emandamento.
Google non l’aveva nascosto: la pubblicazione dei dati aggregati di Facebook, Microsoft, Apple, non erano sufficienti. Secondo Google la questione sta a monte: bisogna mettere in discussione la legittimità del vincolo di segretezza imposto dal FISA (l’atto di sicurezza anti terrorismo di matrice repubblicana mai cancellato da Obama) ai colossi della Rete.
Per farlo, ha deposito presso la Corte una richiesta che se accolta faciliterebbe l’infrazione del “bavaglio” sui dati di lungo periodo, sostenendo che la società ha il diritto costituzionale di parlare delle informazioni che è costretta a fornire al governo.
Cosa vuole Google
Nel documento, pubblicato dal Washington Post (il quotidiano che insieme al Guardian ha scoperto PRISM) Google chiede sostanzialmente di poter pubblicare due cose: il numero totale delle richieste della NSA; il numero totale degli account interessati da queste richieste. Se venisse accolto, cambierebbe completamente il quadro della situazione.
Le motivazioni di Google e il problema della sorveglianza
Google ha deciso di ricorrere alla Corte per gli affari della sicurezza nazionale perché convinta che sia necessario dare di più ai propri utenti, e rassicurarli veramente sul numero di dati forniti. L’unico modo per farlo è separare le normali richieste anti crimine con quelle della NSA. Ma ci sono due debolezze: La corte, composta da 11 giudici federali nominati dal Presidente della Corte Suprema John G. Roberts Jr., rifiuta raramente le richieste governative ed è storicamente vicina alle posizioni filo governative; inoltre, il programma di sorveglianza noto come PRISM non richiede singoli mandati dal tribunale di sorveglianza ogni volta che viene fatta una ricerca e probabilmente Google non riuscirebbe a fare completamente luce su questo misterioso strumento.
La via legale che Snowden non ha seguito
Questa vicenda legale però aiuta a comprendere il punto di vista americano anche nei confronti di Andrew Snowden, il whistleblower sparito da qualche giorno e ricercato dagli Usa per aver violato il vincolo di segretezza imposto dal suo lavoro alla CIA. A differenza di quanto succede in Europa, infatti, negli Stati Uniti Snowden è molto criticato anche dai sostenitori della libertà di espressione in Rete e anche dalle società della silicon valley.
Secondo loro, ci sono nella vicenda almeno due fatti che non quadrano: se Snowden è un paladino della libertà, perché viveva in Cina? Non è esattamente il posto migliore del mondo per chi crede nella libertà della Rete, e soprattutto non lo è se vuoi lanciare al mondo una tua denuncia di questo genere; il secondo punto è più tecnico ma importante: Snowden avrebbe potuto tranquillamente denunciare queste pratiche, secondo lui scorrette, senza doversi nascondere dall’altra parte del mondo, sarebbe bastata una denuncia presso la Corte a cui sarebbe seguita una class action (e negli Usa sono cose serie, com’è noto) contro la NSA.
La denuncia avrebbe seguito il suo iter. Probabilmente Snowden avrebbe perso il suo posto di lavoro, ma l’ha perso comunque. Questa via legale è quella scelta da Google: di contrasto all’attuale FISA e agli strumenti troppo invasivi lasciati in mano alla NSA, ma attraverso un processo legale trasparente.