Google ha reso monca la divisione coreana di YouTube. Tagliate, infatti, tanto la possibilità di upload quanto la possibilità di commentare, bloccando pertanto ogni qualsivoglia interazione da parte dell’utenza. Il sito che più di ogni altro ha fatto della collaborazione della community la propria forza, rinuncia al proprio motore principale in segno di protesta.
Quel che Google fa in Corea potrebbe sembrare qualcosa di lontano, decontestualizzato rispetto alla nostra realtà, qualcosa di differente e non inerente alla nostra situazione. Raramente, però, un fatto è stato tanto lontano quanto vicino all’Italia. L’analogia è evidente, tra quel che è e quel che potrebbe essere. La protesta di Google, infatti, insorge nel momento in cui la Corea approva una legge che costringe gli utenti ad identificarsi univocamente ed autenticamente con il proprio nome e cognome nel momento in cui contenuti di vario tipo vengono portati online. La protesta di Google è specificatamente contro il divieto di anonimato, il che in Italia andrebbe a scontrarsi direttamente contro la proposta che Gabriella Carlucci ha avanzato a suo tempo. Se dunque l’Italia approvasse una legge come quella che va avvicinandosi alla discussione in Parlamento, Google potrebbe teoricamente intraprendere una linea similare, bloccando commenti ed upload e creando così molto rumore attorno ad un sito che va a morire da un momento all’altro sotto la pressione di una legislazione che intende controllare con troppo rigore le attività online.
Google lo ha ammesso con chiarezza: l’utenza deve avere il sacrosanto diritto ad interagire sotto forma anonima poiché, spiega la portavoce asiatica di YouTube Lucinda Barlow, è questione di «libertà d’espressione». L’anonimato, insomma, è visto come una sorta di autotutela e garantisce un diritto fondamentale. In Corea la cosiddetta “Cyber Defamation Law” è entrata in vigore dopo una serie di fatti che hanno messo alla berlina la rete portando all’attenzione di tutti i pericoli del cyber-bullismo e delle possibili conseguenze sulle vittime. Google intende andare oltre i fatti e propone una via diversa, che cerchi vie alternative alla pressione dell’identificazione obbligata.
Google avrebbe potuto introdurre una nuova procedura di login ed ottemperare così ad una norma che prevede l’obbligatorietà del riconoscimento degli utenti per i siti dai 100000 utenti unici giornalieri in sù. La scelta oppositiva è pertanto forte e si estende ben al di fuori della sola Corea (anche perché nel paese YouTube occupa una posizione minoritaria nel settore e la scelta di altre divisioni nazionali permette facilmente di aggirare le restrizioni in upload imposte nella divisione locale): Google esprime un giudizio politico chiaro e si pone in prima fila nella difesa della libertà d’espressione tramite la rete.