«I furbetti di Dublino» prima, «quella partita da 150 milioni» poi. L’attacco del Corriere della Sera a Google sul piano dell’evasione fiscale continua con una nuova puntata che, facendo seguito ai primi indizi di inizio mese, approfondisce una vicenda che vede il motore di ricerca in equilibrio precario tra le casse italiane ed irlandesi alla ricerca del miglior mix per il dovuto all’erario.
Il caso, descritto nella fattispecie da Massimo Mucchetti, inizia in Turchia, ove per circostanze similari a quelle italiane il colosso di Mountain View è già stato multato per 32 milioni di euro «per avere raccolto pubblicità dalla Turchia senza pagarci l’Iva e le imposte sul reddito […] L’Italia è un po’ più indietro. A fine 2007, la Guardia di Finanza di Milano ha consegnato alla procura della Repubblica un’indagine sulla presunta evasione fiscale di Google. Ma il 2 febbraio 2009 il pubblico ministero Carlo Nocerino ha chiesto l’archiviazione». Secondo il magistrato non era possibile calcolare in modo certo e univoco l’imponibile maturato dalle attività italiane, e questo in logica conseguenza della natura internazionale di un gruppo che ha sviluppato la propria forza vendita insediandone il cuore ove più conveniva: in Irlanda. La scelta è però oggi osteggiata poiché iniqua nei confronti delle autorità erariali aggirate.
Dall’articolo emergono alcune verità strappate alle Fiamme Gialle:
- «dagli esordi del 2002 a tutto il 2006, secondo i prospetti interni trovati nella sede milanese di corso Europa, 240 milioni»: a tanto ammonta il fatturato di Google da clienti italiani;
- «quanti ricavi dichiara Google Italy negli stessi anni? Risposta: 14,8 milioni», in forte aumento negli anni successivi;
- Perché Google Italia fattura così poco? «formalmente svolge solo servizi di marketing per Dublino i cui costi vivi vengono rimborsati con una maggiorazione dell’8% […] Di qui un reddito tassabile di 38 mila euro in 5 anni».
La parola viene data infine a Massimiliano Magrini, identificato come country manager di Google per l’Italia ma in realtà attuale consulente RCS tramite la propria Annapurna Ventures. Magrini spiega nel verbale come le attività Google fossero portate avanti completamente in Italia prima di travalicare la frontiera: «Il contratto, firmato solo dalla parte acquirente, viene inviato elettronicamente alla sede di Google Ireland di Dublino dove, dopo un preliminare controllo formale, viene firmato dal rappresentante legale della società di diritto irlandese, quale parte venditrice. A questo punto il contratto viene rispedito alla Google Italy e consegnato al cliente».
Secondo il Corriere l’evasione totale ammonta a «48 milioni di Iva, una decina di Irap e una novantina di Ires considerando che, ove non si dichiari la componente negativa del reddito, le componenti positive formano la base imponibile, ovvero una trentina, nel caso si applicasse al fatturato «italiano» la quota proporzionale dei costi di gruppo». Dal 2006 in poi, però, le cifre salgono in modo consistente, proporzionalmente alla crescita della presenza di Google sul mercato dell’advertising.