Microsoft sferra un nuovo attacco nei confronti di Google, sostenendo che i suoi servizi, promossi come totalmente gratuiti o fruibili almeno nelle funzionalità principali senza alcun esborso economico, rappresentino in realtà un costo per l’utenza, soprattutto in ambito professionale. A parlarne è Tom Rizzo, attraverso un post comparso sul blog Why Microsoft, in cui vengono presentati i risultati di una ricerca condotta su un campione di oltre 90 piccole e medie imprese sparse in tutto il pianeta.
Ben nove su dieci compagnie, dichiara Rizzo, utilizzano la suite Google Apps in accoppiata con Office, ma senza abbandonare il prodotto di Redmond a causa della sua semplicità di utilizzo, delle potenzialità in ambito produttivo e della possibilità di funzionare anche offline. La maggior parte delle attività, inoltre, continua a utilizzare principalmente Office, sfruttando solamente le caratteristiche gratuite di Google Apps come Gmail o Calendar, così da evitare spese aggiuntive. Soltanto il 40% dei chiamati in causa impiega Google Docs nella sua attività quotidiana, preferendo Office per la gestione dei documenti.
Secondo Microsoft, quando una realtà professionale sceglie di affidarsi a una soluzione come quella offerta da bigG, va inevitabilmente incontro all’esigenza di mettere mano al portafogli per il pagamento della cosiddetta Google Tax, dovuta principalmente a tre fattori: distribuzione, spese legate al supporto degli addetti ai lavori e formazione.
Quella tra i due colossi è una battaglia che si combatte ormai da lungo tempo e che vede nelle soluzioni software e cloud per la produttività solo uno dei tanti ambiti dove fronteggiarsi. In passato hanno dato vita a veri e propri scontri, verbali e non, per quanto riguarda i motori di ricerca con Bing e Google (bigG dichiarò che gli algoritmi del concorrente non erano che una spudorata copia dei propri), il settore mobile con la rivalità tra i rispettivi sistemi operativi Windows Phone 7 e Android, ed altro ancora.
Di recente, inoltre, i legali di Redmond si sono rivolti all’antitrust europeo per segnalare alcuni comportamenti ritenuti poco corretti da parte della società di Mountain View. Tra questi, il presunto parziale blocco della visualizzazione dei video in streaming su YouTube da parte degli smartphone WP7 e una penalizzazione per il posizionamento dei servizi concorrenti tra le SERP del motore di ricerca.