Se non fosse successo con Google probabilmente non avrebbe fatto notizia. Ma quando si viene a sapere che il motore di ricerca più importante al mondo con i suoi 200 milioni di ricerche nell’arco delle 24 ore infila un cookie nel computer dei suoi utenti ecco che scoppia il caso.
Google ha chiarito gli estremi dell’operazione minimizzandone l’entità e chiarendo come non sia stata pubblicizzata proprio per non sollevare inutili dubbi. Il cookie additato verrebbe propinato all’1% degli utenti e servirebbe per calcolare il numero di ricerche effettuate. Una volta arrivati a 100 richieste Google farebbe comparire “Sei un vero ricercatore di Google” sullo schermo: una sorta di piccolo gioco con l’utente, nulla più.
Prima contestazione: il cookie serve per controllare gli utenti e ricavare informazioni. Google risponde che il tutto è un esperimento minimale che coinvolge solo l’1% dell’utenza e che serve solo e soltanto per calcolare il numero delle ricerche facendo notare all’utente l’importanza che il motore di ricerca assume al crescere dell’uso che ne vien fatto.
Seconda contestazione: il cookie incoraggia ad aumentare le ricerche al fine di far salire il numero ed i relativi introiti per Google. Google replica che la cosa non era stata pubblicizzata proprio per fugare tale dubbio.
Non è detto che il “gioco” non venga ora esteso a tutti, in modo che ognuno abbia un contatore personale. Sicuramente si tratta di un accorgimento acuto in grado di fidelizzare l’utenza, un intrattenimento divertente in grado di sottolineare l’importanza del motore nella navigazione quotidiana.
Per quanto riguarda invece la questione privacy, come sottolinea Marc Rotenberg, executive director of the Electronic Privacy Information Center in Washington, il punto sta nel chiedersi lo scopo per cui il tutto viene portato avanti: se non ci sono effettivi pericoli, la questione può tranquillamente essere catalogata tra le curiosità e non certo tra i pericoli alla privacy personale. Trasparenza innanzitutto.