Aprire Google, scovare la giusta query e raggiungere informazioni private, spesso segrete, comunque non volontariamente messe a dispozione di un indistinto pubblico. Le potenzialità del mezzo sono note da tempo, ma la recente scoperta dell’accesso a webcam non protette semplicemente tramite l’uso appropriato del motore di ricerca rimette in discussione il pericolo di uno strumento tanto potente al cospetto delle basse precauzioni adottate dall’utenza.
Il problema è stato segnalato su vari blog, è rimbalzato su pagine autorevoli quali quelle del Security Focus (ove si richiama alla già nota pratica della ricerca di reti wireless non protette) e nella fattispecie coinvolge almeno un migliaio di webcam dislocate in svariati posti (uffici, ristoranti, eccetera): predisposte al controllo o al monitoraggio di interni per finalità precise, la webcam risulta essere accessibile tramite un semplice link e trasforma la realtà dei locali monitorati in un involontario Grande Fratello.
Ancora una volta Google oscilla dunque tra l’essere uno strumento portentoso, la cui capacità d’uso si trasforma in un valore aggiunto per l’utente, e l’essere un pericoloso Panopticon (ciò che tutto vede), spauracchio di chi interlegge nella privacy un diritto imprescindibile ed in continuo pericolo. In quanto mero strumento, Google rimane privo di finalità e solo l’uso che ne vien fatto può essere additato come “bene” o “male”. Certo le importanti potenzialità che tale strumento mette a disposizione costituiscono un’arma di fronte alla quale un’ingenua mancanza di tutela emerge in tutta la propria pericolosità.
Apposite comunità online ergono già proprio essere sulla capacità di hacking eretta su Google: le grandi potenzialità di indicizzazione offerte dal motore vengono infatti sfruttate per scovare nomi utente, password, dati sensibili e quant’altro messo inavvertitamente a disposizione del grande occhio del più involontario dei Panopticon.