Cinque milioni di dollari per aver violato un brevetto registrato dalla Bedrock Computer Technologies. È questo il verdetto stabilito dalla giuria della Corte del Texas a seguito delle denuncia giunta nel 2009 relativa ad una tecnologia realizzata dalla Bedrock e situata all’interno del codice del kernel Linux, ampiamente adottato da Google nei propri server.
Sebbene tale somma rappresenti una frazione trascurabile dell’intero fatturato annuale del colosso di Mountain View, la sentenza crea tuttavia un importante precedente giuridico cui sia Bedrock che altre società potranno far riferimento in tribunale. Google, infatti, non è l’unico nome citato nella denuncia depositata due anni fa: Yahoo, MySpace, Amazon, PayPal e AOL sono solo alcuni gruppi che figurano nel lungo elenco stilato da Bedrock, nel quale compaiono anche altri nomi del mondo informatico e tecnologico. La vittoria è peraltro completa: non solo è stata verificata la violazione Google, ma il brevetto è stato confermato ed anche la somma richiesta è stata considerata equa.
Le altre società denunciate potrebbero però scegliere di seguire una strada diversa, versando quanto necessario per ottenere la licenza d’uso delle tecnologie brevettate ed evitare pericolosi scontri legali. La sentenza della Corte offre dunque a Bedrock una posizione privilegiata, potendo ora contare su di un forte punto di appoggio sul quale fare leva nei confronti di altre società: il kernel Linux rappresenta difatti uno dei componenti software maggiormente adottati nelle infrastrutture server aziendali ed il numero dei gruppi potenzialmente a rischio è elevatissimo.
La tecnologia violata da Google, secondo quanto riportato nel documento ufficiale diramato dalla Corte, è legata alla gestione di dispositivi per l’archiviazione dati: in particolare, il colosso di Mountain View avrebbe approfittato impropriamente di alcune tecniche per il recupero di informazioni tramite tecniche di hashing e rimozione on-the-fly di dati non più utili. Le versioni del kernel coinvolte partono dalla 2.4.22.x e giungono fino al ramo 2.6.31.x.
Google potrebbe peraltro ora necessitare di modifiche anche al codice Android, evitando di portare anche sul sistema operativo mobile la medesima problematica legale, e controlli saranno necessari da parte di tutti coloro i quali operano con Linux nella redistribuzione di codice.