Il primo commento ufficiale alla sfida lanciata da Google al Governo cinese giunge dal Dipartimento di Stato statunitense. Si tratta di una comunicazione formale, una presa d’atto della situazione che comprova la gravità del momento ed afferma la vicinanza del Governo USA all’azienda.
La firma è quella del Segretario di Stato Hillary Clinton: «Stiamo raccogliendo informazioni da Google circa l’accaduto, da cui si sollevano seri problemi e preoccupazioni. Aspettiamo spiegazioni dal governo cinese. La possibilità di operare con sicurezza nel cyberspazio è cosa critica nella società e nell’economia moderna. Terrò un intervento la settimana prossima sulla centralità della libertà di Internet nel 21esimo secolo ed offrirò commenti su questi problemi appena i fatti saranno chiariti». Una posizione che si intravede già come intransigente, il che sembra quasi delinearsi come una sorta di strategia comune con l’azienda per forzare le resistenze cinesi nell’aprire il proprio mercato alle ambizioni estere.
Il secondo importante commento è invece quello della Electronic Frontier Foundation. Lapalissiano, soprattutto, il “Bravo Google” utilizzato nel titolo, una esclamazione di totale favore per le scelte del gruppo da parte di una associazione la cui mission è quella della difesa del diritto di informazione e di espressione a livello mondiale. La EFF ricorda ed ammette di essere stata molto critica circa l’apertura delle attività di Google in Cina poiché ne venivano stigmatizzati i compromessi accettati sotto la pressione del governo locale. A distanza di pochi anni, però, Google compie un passo coraggioso ed apprezzato: minacciare il ritiro dal mercato cinese significa molto tanto per le conseguenze economiche quanto per quelle politiche che la cosa comporta. «Internet è globale, ma poggia su di una infrastruttura che è vulnerabile alle regole nazionali ed ai maldestri tentativi di blocco e di censura»: per questo motivo il passo annunciato da Google è importante, poiché sollecita gli utenti cinesi a cercare una alternativa alla Rete imposta dal Governo. Una nuova Tiananmen digitale, insomma, dovrà avvenire affinché la Rete possa essere libera.
Dalla parte di Google, peraltro, c’è anche la forza dei numeri. Il gruppo, infatti, spiega come i proventi dalle attività in Cina possano considerarsi «intangibili»: la scelta di una retromarcia, quindi, sarebbe pressoché indolore. La stessa cosa non può invece dirsi per il Governo cinese, per cui la minaccia è oggi uno spauracchio da non sottovalutare. Google sostiene di avere il coltello dalla parte del manico, ma al momento dalla Cina non è giunta ancora alcuna presa di posizione.