Nei mesi scorsi l’accusa mossa dal Department of Labor, ente del governo statunitense che si occupa delle politiche del lavoro: ci sarebbe un’eccessiva discrepanza tra il compenso riconosciuto, a parità di impiego, ai dipendenti Google di sesso maschile e a quelli di sesso femminile. Oggi una prima decisione del giudice che riconosce la ragione al gruppo di Mountain View.
A parlarne è Eileen Naughton (Vice President, People Operations), con un post comparso sul blog ufficiale di bigG intitolato “Update on the Department of Labor Lawsuit”. I responsabili dell’Office of Federal Contract Compliance Programs (OFCCP) hanno chiesto all’azienda californiana informazioni dettagliate in merito alla sua forza lavoro per gli ultimi 15 anni, compresi indirizzi e contatti personali per circa 25.000 dipendenti.
La sentenza parla di una richiesta eccessiva e persino invasiva per la privacy dei diretti interessati. In altre parole, l’ente non si è dimostrato in grado di giustificare una tale pretesa. Secondo il giudice, i dati in questione potrebbero finire nelle mani sbagliate nell’eventualità di un furto d’informazioni, ipotesi tutt’altro che da scartare a priori considerando gli attacchi che di recente hanno colpito i server di istituzioni sparse in tutto il mondo.
Quella di bigG è la vittoria di una battaglia, non della guerra. Google è infatti comunque chiamata a rispondere ad altre richieste: fornirà a OFCCP informazioni relative a circa 8.000 dipendenti. Il colosso californiano, dal canto suo, ha più volte ribadito che nell’azienda non vi è alcuna disparità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda i compensi. Compito del Department of Labor è far luce sulla vicenda, garantendo così una retribuzione equa. L’organismo, però, dovrà in futuro meglio calibrare le proprie richieste, tenendo conto delle eventuali ripercussioni negative in termini di privacy e tutela dei dati personali, un tema che assume sempre maggiore importanza.