La vicenda legale che dal lontano 2010 vede contrapposti due big del mondo hi-tech come Google e Oracle ha registrato a fine maggio una vittoria da parte del gruppo di Mountain View: un giudice del Northern District of California di San Francisco ha deciso che l’impiego delle API Java all’interno del sistema operativo Android può essere ricondotto al fair use. Niente maxi-risarcimento da 9,3 miliardi di dollari per la software house di Redwood, dunque.
Questo non significa che la bagarre tra le due realtà sia ormai acqua passata. Ora tocca a bigG impugnare il coltello dalla parte del manico, passare all’attacco e puntarlo verso la controparte, chiedendo a sua volta un rimborso pari a 3,9 milioni di dollari. La cifra si compone di tre quote differenti: 1,8 milioni legati alla gestione dei documenti durante tutto l’iter giudiziario, 300.000 dollari per l’opera di trascrizione e altri 1,8 milioni per la consulenza di un esperto designato dalla corte. Potrebbero essere necessarie settimane, se non mesi, prima di arrivare ad una sentenza in merito.
Oltre a questo, Google ha chiesto di commissionare una sanzione a Oracle per aver svelato, attraverso l’avvocato Annette Hurst dello studio Orrick, Sutcliffe & Herrington, dati e informazioni finanziarie sensibili legate agli accordi siglati con aziende di terze parti come Apple (un miliardo di dollari per mantenere la barra di ricerca su iPhone) e con i partner OEM operanti all’interno dell’ecosistema Android. Queste le parole di Bruce Baber, legale che difende i diritti di bigG, risalenti a fine gennaio.
Annette Hurst ha di recente svelato in una corte aperta al pubblico alcune informazioni finanziarie sensibili e confidenziali, relative sia a Google che al partner di terze parti Apple, così come altre informazioni strettamente confidenziali appartenenti a Google. A causa del fallimento da parte di Oracle di rimediare all’azione, le informazioni sono state riportate dalle principali agenzia di stampa.