Se per un istante si lasciano sul terreno i problemi i colossi dei motori di ricerca, tra sentenze e accuse dei concorrenti, e si guarda ai progetti futuri, le grandi società della silicon valley non smettono di stupire. Come ad esempio il finanziamento di Google all’Università di Tel Aviv per un progetto ai limiti del metafisico: un algoritmo del “mi dispiace”.
Il progetto del professor Yishay Mansour è semplice (a parole): ideare degli algoritmi in grado di aiutare un computer a fare tesoro delle imprecisioni di un risultato per fare meglio nel risultato immediatamente successivo. L’idea è nata per migliorare le prestazioni delle macchine quando si tratta di bilanciare il carico dei server, gestire i pacchetti, valutare tutte le variabili e prendere la decisione migliore possibile.
“Siamo in grado di cambiare e influenzare il processo decisionale dei computer in tempo reale. Rispetto agli esseri umani, i sistemi di aiuto automatico possono velocemente elaborare tutte le informazioni disponibili per stimare il futuro – che si tratti di una guerra o di offerte su un sito di aste online, un improvviso picco di traffico verso un sito Web o la richiesta di un prodotto a larga scala.”
Naturalmente un computer non è capace di rammaricarsi (per quanto ne sappiamo), ma si può misurare la distanza tra un risultato voluto e il risultato effettivo, che può essere interpretato tramite algoritmo come “rammarico virtuale“.
Per quale motivo una tecnologia del genere dovrebbe interessare a Google? Alcuni commentatori della blogosfera pensano che l’obiettivo di Mountain View sia migliorare prodotti come AdSense e AdWords, cioè il settore della pubblicità, che si basa su dinamiche predittive che vanno costantemente confrontate con la realtà.
Ma anche il motore di ricerca stesso potrebbe beneficiare di questa tecnologia, che ha l’ambizione di anticipare tutte le variabili possibili azzeccando sempre la migliore, andando a migliorare il rapporto domanda-risposta-utente in modo forse oggi inimmaginabile.