Nel giugno scorso Google ha portato a termine l’acquisizione di Waze, realtà nata e cresciuta in Israele specializzata nelle tecnologie relative alla navigazione stradale, in particolare per quanto riguarda le informazioni in tempo reale sul traffico e lo scambio di dati tra gli utenti. A quasi un anno di distanza dalla conferma dell’operazione, ancora mancavano dettagli certi sull’entità dell’investimento economico messo in campo dal gruppo di Mountain View, ipotizzato dagli analisti fra 1,1 e 1,3 miliardi di dollari.
La conferma è arrivata dal CEO e co-fondatore Noam Bardin, con un post pubblicato su LinkedIn. L’esatto ammontare è pari 1,15 miliardi di dollari, dunque all’interno del range previsto, ma non è dato a sapere in quale percentuale coperto da azioni. Nell’intervento si parla anche di ciò che ha spinto l’azienda ad accettare l’acquisizione, degli errori commessi e del sogno infranto di restare una realtà indipendente.
Uno degli errori commessi da Waze è stata la valutazione attribuita nella prima trance di finanziamenti, che ha ridotto in modo significativo il potere decisionale dei fondatori. Forse, mantenendo il controllo della compagnia come hanno fatto i fondatori di Facebook, Google, Oracle e Microsoft, Waze sarebbe ancora una società indipendente.
In altre parole, dal post di Bardin emerge il rimpianto di non aver saputo opporsi con decisione al volere degli investitori, che non appena si è presentata l’occasione di entrare a far parte di un gruppo solido come quello di Mountain View hanno esercitato una forte pressione per la chiusura dell’affare.
Degno di nota anche il passaggio in cui si parla della reazione al lancio del navigatore gratuito incluso in Google Maps, un concorrente ritenuto troppo forte ed ingombrante per le capacità di allora. Fu John Malloy di PayPal a far desistere il team di Waze dall’idea di abbandonare il mercato statunitense per concentrarsi su territori come Romania e Singapore. Una scelta che, nel lungo periodo, si è rivelata comunque saggia tanto da portare a smuovere l’interesse di colossi come Apple e Google.