In un angolo c’è Google, il leader dei motori di ricerca, il re incontrastato del web, il dominatore della ricerca online, il Re Mida dei servizi sul Web. Nell’angolo opposto c’è Googly, una piccola azienda che produce giochi da scatola. Il ring sarà in tribunale, in palio c’è un dominio con desinenza “.co.za”. La storia è venuta a galla da breve e si basa su una battaglia di trademark nella quale uno dei due contendenti dimostra di avere un certo coraggio.
L’accusa è stata lanciata da Googly, azienda fondata da Jacques van Schalkwyk ed Henri Smit. Il gruppo produce un gioco da tavola basato sul Cricket, sport dalla cui nomenclatura si estrae lo stesso nome “Googly“. Quello che l’azienda vorrebbe riconosciuto, è il diritto alla proprietà del dominio google.co.za, ad oggi occupato da Google per l’area sudafricana. Lo scontro tra le parti nasce proprio in quest’area specifica, ove Google ha esteso il proprio motore di ricerca e dove Googly già deteneva i propri servizi e le proprie attività commerciali.
Difficilmente di questa storia sarò possibile conoscere ulteriori dettagli. La denuncia, infatti, appare quantomai pretestuosa ed utile più che altro a promuovere un piccolo gruppo sfruttando la popolarità di un nome ben più noto a livello internazionale. Sul sito web è possibile avere informazioni relative al gioco, qualche dettagli sui servizi offerti dal gruppo, ma nulla trapela circa l’iniziativa legale avviata. Per contro il motore sudafricano di Google sembra non restituire nelle SERP particolari inerenze tra il termine ed il gioco, vendicando a modo suo l’indisponenza della denuncia.
L’offensiva legale, peraltro, appare priva di prossibilità: il trademark dei due gruppi non sembra arrecare reciproco disturbo, e l’unica possibile ambiguità potrebbe essere sul nome a dominio. Anche quest’ultimo, però, fa riferimento ad un nome specifico e peraltro molto conosciuto, senza che i giochi in scatola possano averne danno particolare o possano vantarvi sopra diritti maggiori rispetto alla controparte. La storia verrà presumibilmente archiviata come l’ennesimo trademark contestato strumentalmente, con fare pretestuoso: in questo caso Golia non sembra insomma dover avere troppa paura di Davide.