I numeri hanno molte storie da raccontare. Soprattutto se li si guarda in prospettiva, leggendone il ruolo nel tempo e nello spazio in qualità di co-protagonisti dell’evoluzione. Per spiegare l’importanza del proprio HPC4 all’interno del proprio Green Data Center, Eni ha infatti voluto invitare un ampio parterre di giornalisti ai quali è stata snocciolata la rapida evoluzione in atto.
Una storia partita molti anni or sono, quando fu chiaro come l’informatizzazione avrebbe potuto velocizzare in modo determinante l’elaborazione dei dati in entrata. Con HPC1 e con le versioni successive i processi hanno iniziato a scalare verso velocità prima impensabili, tracciando un trend ormai irrinunciabile. Ma quella odierna è una fase più importante di tutte le altre, perché fatta di esperienza, consapevolezza e progettualità. Il Green Data Center, ad esempio, è stato sviluppato per offrire una struttura sostenibile alla forza computazionale che il cane a sei zampe vuol fare propria, prevedendo al proprio interno anche gli spazi e le predisposizioni per le future implementazioni. Con l’industria delle GPU, inoltre, la potenza di calcolo ha potuto ampliarsi considerevolmente e con HPC4 è stato raggiunto un livello da leadership assoluta a livello europeo.
Tutta questa potenza non è certo invano: il datacenter è pensato anzitutto per l’elaborazione dei dati provenienti dai centri di ricerca sul territorio, ove sono necessarie complicatissime elaborazioni per, così come spiegato dall’AD Claudio Descalzi, «rendere discreti i dati che provengono dalla realtà» e quindi elaborarli per giungere alla necessaria conoscenza. Perché la conoscenza, si sa, diventa facilmente valore. L’importanza prima del datacenter è quindi quella di ridurre al minimo i rischi esplorativi, massimizzando al tempo stesso le risultanze ottenibili dalla scarsità di informazioni che si possono ricavare quando l’oggetto della ricerca è qualcosa sotterrato migliaia di metri sotto il livello del suolo.
Tuttavia c’è anche dell’altro. Eni è infatti impegnata in una importante fase di passaggio all’interno della quale sta rivedendo ogni singolo processo aziendale per poterlo ottimizzare (o ripensare) grazie alla digitalizzazione: «Eni è entrata nella fase cruciale del proprio percorso strategico di digitalizzazione, con 150 progetti trasversali a tutte le aree di business e oltre 150 manager coinvolti, e con l’obiettivo di raggiungere importanti benefici economici e operativi nel breve e medio termine».
Ancor più importante è il modo in cui il gruppo ha inteso questo tipo di processo. Eni, forte della varietà e qualità delle competenze interne, ha infatti deciso che scommettere sui numeri avrebbe significato scommettere anzitutto sull’uomo. Il gruppo ha così intrapreso una lunga fase di insourcing, trovando al proprio interno tutte le risorse necessarie per sviluppare il datacenter, progettare HCP4, sviluppare algoritmi proprietari e dar così vita ad un progetto che ora potrà e dovrà restituire fondamentali risultati al gruppo.
A monte ed a valle di tutto ciò c’è l’energia. A monte c’è l’alimentazione a gas, con tanto di canali di ridondanza per evitare qualsivoglia possibilità di interruzione dei processi; c’è un nuovo impianto fotovoltaico della potenzia di 1MW situato proprio al fianco del Green Data Center e in grado di soddisfare il 15% del fabbisogno energetico dell’HPC4; c’è un sistema di raffreddamento basato sul riciclo dell’aria e su processi di raffreddamento ottimizzati (nel 2017 è stato raggiunto un PUE – Power Usage Effectiveness – di 1,175 rispetto ad una media mondiale di 1,8). A valle ci sono scoperte come Zohr, che rappresentano la miglior dimostrazione di quanto l’analisi computazionale possa generare valore. Incredibile valore.
L’approfondimento voluto da Eni non è né un punto di partenza, né un punto d’arrivo: è semmai un’istantanea mossa e densa di emozioni, nella quale si vedono professionisti al lavoro, competenze che raccontano la propria esperienza e un’azienda nel mezzo di un percorso dalle grandi ambizioni. HPC4, «7200 server che lavorano a ciclo continuo collegati da chilometri di cavetti colorati». Un’esperienza non certo unica a livello mondiale, dove sono ormai molti i gruppi a lavorare sui big data, ma su scala europea trattasi di una eccellenza tutta tricolore.