Il caso del gruppo “Uccidiamo Berlusconi” su Facebook, che ha superato velocemente i 15.000 iscritti quando la stampa e le dichiarazioni dei politici lo hanno messo sotto i riflettori, sollecita a fare alcune considerazioni generali in merito all’intreccio tra comunità online e politica.
Da sempre, le innovazioni nelle piattaforme tecnologiche della comunicazione fanno evolvere i quadri sociali, culturali e giuridici in cui si manifestano: ne è un esempio la complessa questione del copyright (di testi, file musicali eccetera). Che dire, però, della politica e del controllo esercitabile dallo Stato sul movimento della rete, nell’epoca dei “media 2.0”?
Partendo dall’assunto che la minaccia è minaccia dovunque venga fatta, il particolare “frame” di uno strumento d’aggregazione come i “gruppi” di Facebook ci pone di fronte ad alcuni nodi problematici. Anzitutto, la distinzione tra “lettera” e metafora o scherzo, invocata dal gestore del gruppo. In secondo luogo, il problema delle distinzioni: il PD ha fatto l’esempio dei 180 gruppi “contro” Franceschini chiedendo di chiuderli, e ce ne sono numerosi altri che utilizzano denominazioni con “a morte”, “sparati” e simili (riferiti ad esempio a personaggi come Travaglio e Santoro, anche se molto meno nutriti di quello contro Berlusconi).
In terzo luogo, ciò che il ministro Maroni avrebbe prospettato, cioè denunciare “tutti” i coinvolti, pone di fronte ad un evidente problema di praticabilità (si tratta di circa ventimila iscritti): probabilmente c’è ancora poca dimestichezza con le differenze tra siti tradizionali e gruppi, che in ogni caso prevedono differenti “modalità” (passive o attive) di partecipazione.
In quarto luogo, c’è il problema dell’efficacia: molti degli iscritti sono pronti a far ripartire il gruppo o gruppi analoghi se quello “originale” venisse chiuso. Si tratta di una dinamica “controllabile”?
Negli Stati Uniti è recentemente scattata un’allerta per il sondaggio sull’opportunità di uccidere Obama. L’idea di lanciare un sondaggio è inquietante e in quel caso la ricerca si è concentrata appunto sull’ideatore (ma il dibattito verteva sulla necessità di capire quali erano le “intenzioni”, lasciando aperta l’opzione dello scherzo di pessimo gusto).
Detto questo, le comunità online hanno già cambiato e cambieranno sempre più la politica: nel 2005, pubblicando il libro “Synthetic Worlds”, Edward Castronova si concentrava su Second Life e i “giochi di ruolo online per il multiplayer di massa” (MMORPG), mantenendo una sostanziale ambiguità sull’utilizzo che avrebbero potuto farne gruppi criminali e persino terroristici.
Tornando al caso italiano, in questo post si volevano introdurre solo alcuni elementi per formulare la domanda: quali scenari?