Dove non sono arrivate le bombe tentano di arrivare gli hacker. Molti osservatori sono rimasti stupiti nell’osservare come le connessioni Internet dall’Iraq siano ancora operanti nonostante i fitti bombardamenti di questi giorni. Ma i siti istituzionali iracheni, e anche quelli anglo-americani, rischiano di soccombere sotto un altro bombardamento: quello degli hacker.
La società di sicurezza norvegese F-Secure ha riferito che, nel momento in cui il presidente statunitense Bush lanciava il suo ultimatum al dittatore iracheno Saddam Hussein, oltre 200 siti subivano un defacement riconducibile alla crisi in atto. Venerdì, dopo l’inizio dell’offensiva, il numero di defacement aveva superato il migliaio, per poi più che raddoppiare nella giornata di sabato.
«Gli hacker possono essere divisi in tre gruppi», ha spiegato F-Secure in un comunicato: «patrioti statunitensi, estremisti islamici e pacifisti». La maggior parte dei defacement può essere collegata proprio a quest’ultimo gruppo, in quanto i messaggi comparsi sui siti attaccati non inneggiano a nessuna delle parti in campo, ma solo alla pace.