E chi l’ha detto che il file sharing fa male all’industria musicale? I risultati dell’ennesima indagine in merito evidenziano risultati contrastanti che, agli effetti, si controbilanciano definendo una assoluta mancanza di correlazione causa/effetto. Insomma: il P2P non fa male al mercato, il mito deve cadere.
Lo studio è stato condotto dalla Harvard University e dalla University of North Carolina monitorando per 119 giorni i download musicali da sistemi peer to peer e cercando correlazioni con il mercato della musica. Il campione rilevato ha raggiunto il tetto di 1.75 milioni di download e l’evidenza ricavata è stata una sola: quando sul mercato c’è un prodotto particolarmente diffuso, chi non lo acquista non lo scarica nemmeno (e viceversa). Non vi è dunque alcun rapporto di complementarità ed esclusione reciproca tra download e acquisto.
L’indagine è stata salutata con gli ovvi favori del caso dalla comunità peer-to-peer, ma dal mucchio emerge un’opinione alternativa firmata (in coerenza con le precedenti posizioni) Sherman Networks: l’azienda a cui fa capo il software Kazaa, infatti, non esita a proporsi nuovamente non come una alternativa, ma come un’opportunità per il mercato della musica.
Nikki Hemming, CEO del gruppo, invita infatti le major a «collaborare invece che colpire», suggerendo dunque il peer-to-peer come possibile canale di vendita. Non è certo un casuale, infatti, che alla fondazione del P2P United (contraltare P2P della RIAA) Kazaa si sia tenuto fuori dal progetto.
Secondo i dati raccolti dal rilievo, nella peggiore delle ipotesi il mercato della musica perde la vendita di un singolo CD ogni 5000 download circa: il dato sarebbe dunque statisticamente inconsistente. Dalla RIAA (con l’appoggio dei dati provenienti da Edison Research, Forrester, e Università del Texas) arriva un secco rifiuto a tali risultati: «secondo le nostre rilevazioni chi più scarica meno acquista».