Nel gennaio del 1980, dopo quattro anni di lavoro top-secret sul sofisticato calcolatore denominato “Capricorn”, la Hewlett Packard mette a punto la sua nuova macchina, l’HP-85.
Inizialmente rivolto ad un ambito professionale, questo computer utilizza un particolare microprocessore a 8 bit in grado di offrire una precisione a dodici cifre, valore di accuratezza impensabile per l’epoca, e combina in un singolo case una piccola stampante termica, una tastiera alfanumerica, un display CRT da 32 caratteri in bianco e nero con monitor da 5″ e un registratore di cassette.
Una delle principali differenze tra HP-85 e gli analoghi sistemi sul mercato, infatti, consiste nell’impiego di cartucce per la lettura e la scrittura di programmi e dati.
Ciò non sorprende, se si pensa che la società prevedeva di rivolgersi principalmente a un target di professionisti e che la cartuccia per dati è una delle più affidabili forme di memorizzazione di massa.
La macchina possiede 16k di RAM e 32k di ROM (contenente il sistema operativo e il pacchetto BASIC), più quattro porte di espansione sul retro per ospitare memoria esterna nonché una serie di periferiche opzionali come un connettore seriale RS-232, un modem e roms aggiuntive.
Sebbene l’HP-85 sia uno dei casi più riusciti di sistemi portatili “self-contained” e le funzioni integrate siano efficienti, la velocità di esecuzione dei programmi è piuttosto limitata.
Il processore che è a soli 8 bit e funziona a 625kHz, risulta carente anche per quelli che sono gli standard degli anni ’80. Venduto al prezzo di 3.250 $, contribuì certamente all’ascesa dei successivi personal computer.