Mai come in questi giorni si sente la mancanza di Steve Jobs, lo scomparso co-fondatore di Apple, soprattutto dalle parti di Wall Street. Gli investitori, evidentemente poco soddisfatti dei risultati fiscali del Q1 2013, ripetono incessantemente il mantra: alla Mela oggi manca quel piglio geniale che solo Jobs è stato in grado di fornire. Dimenticando, però, come non fosse tutta rose e fiori la carriera del compianto genio visionario.
Peter Sims, dalle pagine dell’Huffington Post, ha deciso di raccogliere i cinque peggiori momenti della carriera dell’iCEO, i cinque passi falsi che dimostrano al pubblico come anche il grande Jobs fosse sostanzialmente un essere umano. Si farebbe un disservizio ai lettori, sostiene l’autore, a descrivere i grandi del nostro tempo solo per le loro vittorie più rosee, perché se ne rimanderebbe alla storia un’immagine fuorviante. E dimostrare come anche Steve Jobs potesse cadere in errore, ci si sente di aggiungere, potrà di certo giustificare le contestazioni degli ultimi giorni sulla dirigenza Cook.
L’assunzione di John Sculley
L’avesse potuto predire, probabilmente non l’avrebbe mai fatto. Eppure è stato proprio Jobs a volere John Sculley, allora in Pepsi, come CEO della Mela. Peccato che fu proprio Sculley uno dei fautori dell’allontanamento dell’iCEO da Cupertino, nel lontano 1985. E fu proprio Sculley a non comprendere le potenzialità dei computer targati Mac, trattando il brand come fosse proprio una bibita zuccherata anziché un marchio sinonimo di innovazione e futuro.
Pixar come società hardware
Quando Steve Jobs acquisì la Pixar da George Lucas, non avrebbe mai immaginato sarebbe diventata una delle migliori case d’animazione computerizzata al mondo. Lo scopo iniziale dell’iCEO pare fosse di rendere Pixar una grande società hardware, farla diventare una nuova Apple. E per molti anni questo obiettivo non ne ha permesso il decollo. È stato l’intervento dei co-fondatori Ed Catmull e John Lasseter a convincere Jobs a spostarsi sulla grafica digitale, un’intuizione che tutt’oggi si è rivelata azzeccata.
La voglia di vendere Pixar
Non vedendo il progetto decollare, per molto tempo Jobs ha cercato di vendere Pixar al miglior offerente, almeno per recuperare l’investimento iniziale. Nessuno si è dimostrato però interessato, anche perché la trasformazione in una società hardware di certo non aveva sufficiente appeal per attirare gli investitori. Tutto sommato, all’iCEO non è toccata una cattiva sorte: con l’arrivo dell’animazione digitale in 3D, Pixar è diventato un colosso a livello mondiale.
Target erroneo per NeXT
NeXT, la “nuova era dei computer” antagonista ad Apple dopo la cacciata di Steve Jobs, ha portato molte innovazioni nel mondo dell’informatica, alcune ancora ampiamente sfruttate tutt’oggi da OS X. Ma l’azienda non ha mai trovato una vera tipologia di clienti a cui indirizzarsi: da un lato gli affezionati Apple, sebbene negli anni ’90 il gruppo non suscitasse grande interesse nel pubblico, dall’altro gli utenti Windows. La visione forse troppo visionaria di NeXT non ne ha mai permesso un grande successo, anche a colpa della testardaggine dello stesso Jobs.
Prodotti fallimentari
Da Apple Lisa all’Apple III, sono diverse le intuizioni hardware fallaci di Steve Jobs. A volte troppo futuristiche per la società del tempo, altre volte di dubbia utilità, l’iCEO non si è di certo fatto mancare nulla in fatto di fallimenti di mercato. Fortunatamente, a far di peggio ci ha pensato l’amministrazione Apple negli anni ’90, con device di inesistente fascino come la console di gaming Pippin.