Una volta lessi una teoria secondo cui gli incidenti non capitano mai per caso. Sebbene sembra sia il caso a far cadere a distanza di pochi giorni due diversi aerei, in verità semplicemente non riusciamo a tracciare una linea retta tra le due circostanze, ma un legame c’è. E questo legame è dettato dal maturare di un certo numero di condizioni sfavorevoli che, ad un dato limite, determinano la possibilità concreta che qualcosa possa accadere. E quanto qualcosa potrebbe accadere, accadrà.
Se tanto mi dà tanto, quanto successo nelle ultime settimane in quella terra di nessuno che sta tra il giornalismo e il web dovrebbe lasciar presagire a qualcosa di brutto, di molto brutto. Certe distorsioni, certi lapilli impazziti di disinformazione, qualche corto circuito, il tutto nel semi-silenzio generale.
Tutto inizia con la droga che arriva dalle cuffie. Un lancio di agenzia, tutti i giornali a copiare pecorecci, il web a fare una smorfia divertita per una notizia tanto paradossale. Sembrava un caso isolato, riderci su è il minimo.
Poi il paradosso dell’intercettazione finta. Riderci su è più difficile, perchè inizia ad intuirsi che qualcosa di grave è davvero successo in certi meccanismi che dovrebbero garantirci informazione filtrata e spuria.
E tutto ciò mentre il giornalismo si interroga e sichiede quale sia il futuro del comparto:
Quante volte abbiamo scritto che “si fabbrica una bomba su internet”? O che si scaricano file che drogano la mente con la musica? E non è pochi giorni fa che abbiamo titolato che “google rende stupidi” senza pensare che forse era una tesi un po’ estrema? E quante volte intervistiamo una stronza di psicologa che ci spiega al cellulare, in tre minuti, che i ragazzi si prostituiscono su internet, e noi lo scriviamo come pecore dell’informazione? Ogni volta che facciamo tutto questo è come se un nostro genitore avesse detto “Beatles” invece di “bitl’s”.
Non possiamo più tradire il popolo delle tecnologie