Negli ultimi anni sono state sviluppate diverse tecnologie che hanno permesso di aumentare le prestazioni dei PC desktop e dei notebook: nuove architetture per i processori, schede video più potenti, memorie sempre più veloci.
Stiamo parlando di componenti esclusivamente di tipo elettronico con velocità e tempi di accesso espressi mediante unità di misura come gigahertz (GHz) o nanosecondi (ns).
Ma c’è un componente che non ha subito sostanziali modifiche tecnologiche da più di 50 anni: il disco rigido. Il suo funzionamento è basato sul principio fisico della registrazione magnetica dell’informazione.
Anche se negli anni sono stati prodotti dischi con velocità rotazionali fino a 15.000 giri, sono cambiate le interfacce di collegamento con la scheda madre e sono state implementate tecniche (come la registrazione perpendicolare) per aumentare la capacità di memorizzazione, la lettura e la scrittura viene sempre effettuata dalla testina, che ogni volta deve posizionarsi sul giusto settore del disco.
In questo caso, i tempi sono misurati in millisecondi (ms), ovvero valori 1.000.000 volte inferiori rispetto a quelli della memoria RAM o del processore. Se la CPU necessità di dati non presenti né nella cache né nella RAM, l’accesso al disco rigido provoca un drammatico rallentamento dell’intero sistema, con uno spreco notevole di cicli di clock della CPU.
Fortunatamente è apparsa sul mercato una nuova tecnologia basata sulla fisica a stato solido che permetterà di sostituire in pochi anni i vecchi dischi a piatti magnetici, ormai un vero e proprio collo di bottiglia per i computer moderni.
La tecnologia è quella delle memorie flash che possiamo trovare nelle diffusissime pen drive USB, ma anche nelle memory card di fotocamere, videocamere, smartphone, palmari, lettori MP3, ecc. Sono tutti dispositivi a semiconduttore (quindi a stato solido), privi di parti meccaniche in movimento. L’unione di più chip flash su un unico circuito stampato ha dato origine ai Solid State Drive (SSD).