«A tutti i giornalisti del Washington Post si richiede di abbandonare alcuni privilegi personali da privati cittadini. I giornalisti del Post devono riconoscere che ogni contenuto associato a loro su di un social network equivale, per ovvia conseguenza, a ciò che appare sotto la firma nel giornale o sul sito». Insomma: se i giornalisti del Washington Post evitassero di esprimere opinioni online, la loro firma rimarrebbe immacolata e si eviterebbe di “macchiare” quanto portato sulle pagine del giornale.
L’estratto fa parte di una lettera che il giornale ha inviato ai propri dipendenti, un modo diretto per esprimere una linea editoriale che richiede una certa linea di comportamento ad ogni singolo membro del team. Trattasi però di una regola particolare ed oggettivamente restrittiva poiché va ad estendere al diritto privato quelli che sono i doveri lavorativi del giornalista. Se il tutto colpisce direttamente la possibilità di esprimere opinioni, inoltre, l’avviso si rende ancor più delicato e solleva giocoforza un vespaio di polemiche.
L’ammonimento va anche oltre, entrando nei dettagli: «I giornalisti del Washington Post devono evitare di scrivere, twittare o postare qualsiasi cosa – incluse fotografie o video – che rendano percepibili opinioni politiche, razziali, sessuali, religiose o altre inclinazioni o favoritismi che possano intaccare la loro credibilità giornalistica. Le stesse precauzioni dovrebbero essere adoperate nell’atto del seguire altre persone o organizzazioni online». Meglio evitare, insomma, di concedere l’amicizia su Facebook a persone dal passato discutibile, o seguire i twit di personaggi potenzialmente negativi.
L’intervento del post sembra voler garantire con metodi estremi la neutralità assoluta dell’approccio alla notizia. Il giornalista, inteso come strumento di descrizione, deve pertanto evitare di legare il proprio nome ad una qualsivoglia opinione poiché il giornale sarebbe costretto a sposarne la causa indirettamente all’atto stesso della pubblicazione del pezzo e della firma. TechCrunch, nel riportare alcuni stralci della lettera (disponibile per intero su Omblog), esprime costernazione per l’atteggiamento del Post e chiedendo in chiusura se il tutto non equivalga in definitiva all’annullamento stesso delle opinioni e dei propri giornalisti.
Il Washington Post usa Omblog per un atto di trasparenza, esprimendo la nuova linea e motivando il tutto con i “problemi di percezione” che la rete apre al giorno d’oggi. Ogni firma, infatti, può valere una ricerca su di un motore di ricerca ed il reperimento di posizioni recondite o inclinazioni personale potrebbe traviare i significati e le opinioni espresse dal Post.