Come deve essere il primo approccio tra un bambino ed un computer? E soprattutto: quando è opportuno debba essere affrontato? A tal proposito si combattono due teorie: da una parte v’è un teorema per il quale l’incontro dovrebbe essere quanto più precoce possibile, affinché la formazione possa essere in seguito improntata su dinamiche computazionali già interiorizzate in età infantile; dall’altra v’è un’idea opposta, secondo la quale l’incontro dovrebbe avvenire quando già una minima formazione ha avuto luogo ed il computer viene ad assumere così un ruolo secondario, di strumento di appoggio più che come struttura fondamentale.
Ad appoggiare questa seconda tesi giunge l’intervento del dr Aric Sigman, il quale si è pubblicamente opposto ad un documento del 2008 che prevedeva di improntare l’educazione sull’incontro tra bambino e PC all’età di 22 mesi circa. Il documento prevedeva vere e proprie linee guida da adottarsi su vasta scala, qualcosa contro cui il dr Sigman oppone ora la propria resistenza. Il motivo è in una valutazione opportunità/rischi: le opportunità, infatti, non sarebbero dimostrabili e non vi sarebbe alcun dato a supporto del teorema per cui un incontro precoce permetta un migliore sviluppo dell’affinità tra il ragazzo e la macchina; per contro, i rischi sarebbero concreti e correlati alla deleteria azione della macchina da lavoro sulle capacità nello sviluppo dell’attenzione e della concentrazione.
Secondo il dr. Sigman, psicologo, l’uso del pc nei ragazzi porta ad un calo di attenzione che diminuisce le capacità in lettura, ascolto ed infine nell’apprendimento. La sua analisi si manifesta non come anti-informatica, ma semplicemente volta a preservare le capacità di apprendimento di fronte ad un incontro con la macchina quando ancora il cervello è immaturo per poter affrontare questo tipo di tecnologia.
Il documento criticato è denominato “Early Years Foundation Stage” e prevede che entro i 40 mesi di età (poco più di 3 anni) i bambini debbano saper usare un telecomando, manovrare un mouse ed effettuare semplici operazioni su software studiati appositamente per i bambini. Secondo i sostenitori di questo tipo di approccio (ufficialmente appoggiato dal Regno Unito come vero e proprio indirizzo educativo e formativo), l’uso adeguato degli strumenti informatici è in grado di migliorare l’apprendimento del linguaggio, e per questo motivo è in grado di velocizzare e potenziare tutto l’apprendimento successivo. Chi non crede in questo tipo di approccio, per contro, sostiene che tutto ciò che è multitasking finisca per rovinare la capacità di concentrazione che dovrebbe invece essere la materia prima attorno a cui formare il percorso di apprendimento scolastico che seguono la prima infanzia. La sentenza è dunque opposta: non 22 mesi per il primo approccio, ma almeno 7/8 anni per consentire al bambino di sviluppare adeguate capacità linguistiche e di calcolo.
Velocizzare l’insorgere di un rapporto stretto tra un bambino e la tecnologia, inoltre, potrebbe limitare altre forme di apprendimento ed altre capacità. In tenera età, infatti, un bambino necessita di conoscere gli oggetti, lo spazio, le proprie capacità di interagire con questi ultimi e molti altri elementi propri della vita di tutti i giorni: l’apprendimento legato agli strumenti tecnologici può essere portato avanti in parallelo o ci sono alcune precedenze da rispettare a prescindere dal fatto che l’informatica è oggi un perno centrale nella vita di ognuno? Una risposta, ancora, non c’è. Ma l’attrito tra le teorie del dr. Sigman e quelle espresse dal EYFS è destinato ad accelerare il dibattito su una questione tanto importante in prospettiva.