Milioni di tonnellate di metalli preziosi che potrebbero essere recuperati riposano nell’indifferenza generale nelle discariche: si chiama in gergo “e-waste“, il tecno-spreco che negli Usa e in altri paesi produttori o consumatori vorrebbero diminuire per contrastare anche alcuni effetti collaterali come il riciclaggio illegale e il dumping. Secondo l’E-Waste Academy non esistono soluzioni a portata di mano, ma si può già fare molto.
Ci sono letteralmente miliardi di dollari in metalli preziosi che aspettano soltanto di essere recuperati: le Nazioni Unite hanno calcolato che i soli produttori di dispositivi nel mercato europeo utilizzano circa 320 tonnellate d’oro e più di 7.500 tonnellate d’argento, ogni anno, per darci tablet, smartphone e notebook. Questo è sufficiente per aggiungere 21 miliardi l’anno – 16 miliardi di dollari d’oro e 5 miliardi di dollari d’argento – all’economia dei rispettivi paesi produttori.
Se si guardasse alla percentuale di riciclaggio dei rifiuti umani ci sarebbe poca speranza, ma nel caso dei rifiuti elettronici è già superiore, cresce ogni anno del 200% e se si raggiungesse un’efficienza accettabile di fatto si scoprirebbe che nei rifiuti elettronici c’è una quantità di metalli preziosi 50 volte superiore a quella garantita dall’estrazione dalle terre di paesi come il Ghana, occupati dalle multinazionali per le loro ricchezze. Un milione di tonnellate di rifiuti elettronici l’anno si stanno accumulando nei paesi dell’Africa occidentale, tra cui Benin, Costa d’Avorio, Ghana, Liberia e Nigeria, con le conseguenze ambientali immaginabili, perché un conto è un metallo prezioso ma inerte come l’oro, altro conto sono metalli come il cobalto e il palladio.
L’E-waste è dunque una minaccia, ma anche una opportunità, che potrebbe far scendere il prezzo dell’oro (i dispositivi elettronici ne consumano da soli il 7,7% di tutto il mercato mondiale), arrivato a prezzi poco sostenibili per le aziende. Al momento si recupera soltanto il 15% di quanto è buttato nelle discariche: se si facesse di più avrebbe effetti benefici sulla salute di popolazioni lontane dall’occidente che pagano a caro prezzo i nostri consumi e che, tra l’altro, non dispongono di adeguati mezzi per smontare e riciclare questi rifiuti; così che si arriva al paradosso per cui i paesi occidentali, per evitare di accumulare discariche nei propri paesi, li accumulano altrove rinunciando però a veri e propri tesori economici.
Si sono creati appositamente dei programmi d’intesa per le nazioni nel consesso degli organismi internazionali, abbastanza complessi e probabilmente non sufficienti, basati su quattro strategie: policy, per analizzare la questione a livello sovranazionale; redesign, per diminuire e rendere più efficiente il bisogno di metalli; riutilizzo, per allungare la vita dei dispositivi o di alcune loro componenti; riciclaggio per diminuire lo spreco. Basti pensare che secondo la Commissione Europea se si riuscisse a riciclare la metà delle materie plastiche e dei metalli dei nostri cellulari e computer, risparmieremmo 5 milioni di chilowattora di energia, più di 3 milioni di barili di petrolio e quasi 2 milioni di tonnellate di emissioni di CO2.