Al fine di costruire un ambiente domotico capace di autoregolarsi, oltre a un software di gestione per l’elaborazione delle informazioni sono necessarie le fonti stesse di informazione, ovvero i sensori. Tra i più usati senz’altro i sensori meccanici, capaci di percepire tutto ciò che entra in diretto contatto con essi, e utilizzati quindi spesso come sensori di movimento.
Tali sensori possono essere classificati in tre grandi categorie, secondo il principio che ne regola e ne assicura il funzionamento. Ad esempio, può essere sfruttato l’effetto piezoresistivo.
Kelvin nel 1856 scoprì infatti, attraverso l’analisi di alcuni circuiti come ad esempio il “Wheatstone Bridge”, che il circuito sottoposto a tensione altera la sua resistenza in modo direttamente proporzionale alla tensione secondo un coefficiente di proporzionalità che dipende dal materiale. Ciò consente di passare dalla percezione di una variazione in tensione (grandezza meccanica) alla variazione nell’emissione di una grandezza elettrica.
Oppure ci si può servire dell’effetto piezoelettrico: all’incirca nel 1880 venne scoperto che alcuni materiali, detti materiali piezoelettrici, come ad esempio il bario e il titanio, convertono una forza ad essi applicata in una variazione del loro potenziale elettrico secondo una costante di proporzionalità k. Vale anche l’effetto contrario, quindi sfruttando l’effetto piezoelettrico si possono costruire sia sensori che attuatori.
Infine, in alcuni casi, vengono utilizzati anche sensori di tipo capacitivo. Si sfrutta cioè il fatto che la capacità di un condensatore sia influenzata dalla distanza tra le due armature. Possono essere costruiti anche sensori di tipo induttivo.