C’è sempre più competizione fra territori per accaparrarsi le startup. La buona notizia è che nessuno può dirsi escluso in partenza, quella cattiva è che neppure i campioni dell’innovazione tecnologica, i californiani, posso dormire sugli allori. Negli Usa mai come in questo momento si assiste a un forte rimescolamento dei rapporti di forza tra vari Stati e città, tanto che Forbes ha citato il Colorado come luogo in ascesa per le aziende e la carriera. Anche in Italia assistiamo a qualcosa del genere: il 2013 sarà senza dubbio l’anno del marketing territoriale pro-startup.
Nominata come città ideale per le startup, Denver (dove sono nate, tra le altre, Mapquest, Photobucket, Cloudzilla) corrisponde alle cinque richieste fondamentali per attirarle, che così riassume il BusinessDaily:
- Basso costo della vita rispetto alla qualità
- Supporto di governatore e sindaco
- Rete scolastica forte
- Incubatori e investitori
- Cultura imprenditoriale
Insomma, Los Angeles e la Silicon Valley sono ancora la capitale tecnologica del mondo, ma è già possibile stabilire delle strategie per replicarne il successo o addirittura sostituirsi ad esse. Negli Usa è più facile immaginarlo, in Italia si potrebbe partire da questi esempi per immaginare i diversi scenari evolutivi.
Lasciando quindi, per il momento, le peraltro apprezzabili strutture pensate per aiutare le startup a crescere usando la Silicon Valley – un esempio eccellente è Mind the Bridge, che giustamente punta tutto sul confronto internazionale delle nostre startup più promettenti, che trovano oltreoceano smart money, fondi intelligenti per le loro prospettive – verrà prima o poi (siamo ottimisti) il momento in cui qualcuno diventerà la Silicon Valley italiana. Ma chi?
Milano è la città che si è candidata come capitale. Dei cinque punti elencati sopra, è debole nella rete universitaria e nell’appoggio politico, ma senza paragoni negli ultimi due punti. Forse le manca, però, il carattere tipico di un hub: una identità, una prospettiva di riferimento. Caratteristica che è più di un’altra città nobile del nord, Torino. La sua capacità di assorbire la dura fase della post-industrializzazione è davvero straordinaria. Oggi è l’unica città italiana che ha trovato una soluzione “europea” ai problemi sorti in un quartiere a forte presenza di immigrati, ha guadagnato esteticamente ed economicamente dall’aver ospitato grandi manifestazioni sportive, ha un Politecnico che ha dato la stura ad alcune fra le startup più interessanti degli ultimi anni.
Non bisogna dimenticare, poi, il trentino, che col suo MART e l’investimento della Provincia nel Trento Rise è un fulgido esempio per tutti da tempi non sospetti. Anche il Veneto è una realtà molto interessante: tra Padova (dove non a caso è nato il primo Talent Garden) e Treviso stanno nascendo innumerevoli startup e Marghera ha approfittato della fine dell’era industriale per riconvertirsi e far nascere il VEGA, dove si sono inventati #faccedastartup. In questo caso, per l’Italia dell’est i fattori positivi sono il costo della vita meno dispendioso di quello lombardo e una tradizione universitaria di altissimo livello.
Andando al sud, si trovano realtà che potrebbero approfittare della scarsa densità come di un catalizzatore. La Puglia, sede l’anno scorso del PNI, è un territorio molto attivo sulla green economy. A Salerno stanno nascendo idee come in poche altre città, grazie all’ottima presenza dell’Università: dove è nata la startup del 2012, Mangatar.
Chi fra loro diventerà il territorio di riferimento per le startup? La risposta potrebbe anche essere tutte: i territori italiani, infatti, sono caratterizzati storicamente dai distretti, che sono una nostra peculiarità. Dunque un modello vincente potrebbe essere quello di lavorare su diverse aree secondo le diverse sensibilità che saranno in grado di esprimere.