Si parla ormai da decenni di intelligenza artificiale, dapprima in romanzi e lungometraggi dall’ambientazione futuristica, oggi in relazioni ad algoritmi in grado di svolgere operazioni complesse. Ma quanto è davvero intelligente questo tipo di tecnologia artificiale? Poco, stando ai risultati di uno studio condotto dai ricercatori della University of Illinois at Chicago, che hanno sottoposto il sistema ConceptNet 4 (uno dei più avanzati in questo campo messo a punto dal M.I.T.) a un test solitamente impiegato per valutare il QI dei più piccolo.
Dai quesiti è emerso che il cervello ricreato nei laboratori del Massachusetts Institute of Technology ha capacità cognitive paragonabili a quelle solitamente rilevate in un bambino di quattro anni. A differenza di quanto avviene con i ragazzini è stato però rilevato un importante livello di discordanza tra il livello di correttezza delle risposte fornite. Questo, se si trattasse di un essere umano in tenera età, verrebbe interpretato come sintomo di un problema di cui prendersi immediatamente cura. Per ConceptNet 4 la causa è invece ben diversa e va ricercata nei limiti propri delle tecnologie di intelligenza artificiale attuali. Il professor Robert Sloan lo spiega con un esempio piuttosto chiaro.
Tutti noi conosciamo moltissime cose. Da bambini abbiamo camminato carponi in giro per casa, ci siamo aggrappati agli oggetti e abbiamo imparato che questi cadono. Provando a tirare la coda a un cane o a un gatto abbiamo poi capito che questi animali non lo apprezzano. La vita è un ambiente ricco di elementi da apprendere. Siamo ancora molto lontani dal poter creare programmi con un senso comune capace di rispondere a domande di comprensione con la stessa abilità di un bambino di otto anni.
Per “domande di comprensione” Sloan intende tutte quelle che solitamente iniziano con “perché”. In altre parole, un elaboratore è perfettamente in grado di fornire informazioni precise sulla temperatura alla quale l’acqua solidifica, ma oggigiorno non è ancora in grado di comprendere che il ghiaccio è freddo, un procedimento logico proprio della mente umana.
La ricerca condotta da UIC non deve però essere letta come un ridimensionamento dei progressi compiuti negli ultimi decenni nell’ambito dell’IA, per due motivi: il metro di giudizio impiegato è stato calibrato appositamente per valutare il cervello umano e non quello artificiale, inoltre i compiti solitamente assegnati ad algoritmi e software sono differenti da quelli che l’uomo può già risolvere da sé, spesso complementari.