È terminato ieri a Milano lo IAB Forum 2007, un evento dedicato ai professionisti dell’advertising online nel quale si sta discutendo di come i veloci cambiamenti che caratterizzano il web dei nostri giorni implichino necessariamente delle modifiche anche nelle strategie di business delle aziende e, soprattutto, come la pubblicità può scoprire nuove forme di interazione col consumatore finale.
E’ infatti indubbio che i linguaggi di comunicazione pubblicitaria sono destinati a cambiare radicalmente. L’elemento scatenante di questo cambiamento è, volendo usare un’etichetta, il Web 2.0. Precisando meglio possiamo dire che la penetrazione e diffusione delle nuove tecnologie ha consentito al web di fungere da abilitatore permettendo agli utenti di generare contenuti, condividerli, commentarli, ecc. Si sono creati tanti piccoli “microcosmi” che le aziende, e le loro agenzie di pubblicità, devono capire come raggiungere.
E’ indubbiamente una sfida veramente difficile da affrontare. Siamo infatti in una fase nuova e transitoria, che rappresenta quindi contemporaneamente una grande occasione (di essere “quelli che ce la fanno”) e un grande rischio (di fare flop). C’è inoltre da dire che, come in tutti i fenomeni nuovi e transitori, non c’è accordo totale sull’analisi della situazione che stiamo vivendo, il che genera non poca confusione nelle imprese, che non sono esperte di new media e si devono basare sui pareri degli esperti che, come detto, sono spesso discordanti.
Il messaggio proveniente da IAB Forum 2007 è essenzialmente una presa di coscienza da parte di tutti gli operatori che il mercato (ed il consumatore) sono cambiati (e non è poco), ma allo stesso tempo ci si rende conto di quanto sia troppo spesso difficile fare comprendere al cliente (l’imprenditore che investe in pubblicità) quanto il mezzo internet sia importante. Memori della bolla di fine millennio, molti imprenditori sono molto prudenti e preferiscono spendere anche di più, ma in media tradizionali, piuttosto che sperimentare strade nuove.
Altri, soprattutto all’estero, invece ci provano e sono tanti i casi di successo. Dove, ad esempio, ha vinto quasi tutti i premi pubblicitari che è possibile vincere nell’anno 2006 per una pubblicità, distribuita esclusivamente attraverso YouTube, che aveva lo scopo di riaccendere la brand awareness (che andava scemando) provocando un dibattito sulla bellezza e la donna. L’effetto è stato incredibile.
[youtube]hibyAJOSW8U[/youtube]
Il video è stato visto, linkato, postato e commentato milioni di volte, l’azienda ha avuto un forte aumento di brand awareness e, last but not least, ha avuto un evidente ritorno di immagine assurgendo ad azienda di cosmesi attenta all’etica, onda che cerca di continuare a cavalcare con un secondo video.
[youtube]Ei6JvK0W60I[/youtube]
Insomma i casi di successo ci sono e alcuni sono anche eclatanti, allo stesso tempo però ci sono anche casi di insuccesso. Spiego meglio. Il Web 2.0 non solo può essere un catalizzatore incredibile di “buzz“, ma può essere un atrettanto potente strumento di “distruzione” di un’azienda. Pensiamo al caso di HSBC, banca inglese che ha scelto di tagliare i prestiti a tasso zero per studenti. L’azienda ha scelto, un po’ vigliaccamente, di comunicare la notizia all’esterno durante il “summer break”, sperando che gli studenti in vacanza non si accorgessero subito dello svantaggioso mutamento. In realtà gli studenti americani sono molto legati al web e ai social networks (uno su tutti Facebook) e la notizia ha fatto il giro del mondo in pochissimi giorni, creando gruppi di protesta, articoli di blog, video, ecc. tutti contro la banca.
Ebbene, nonostante HSBC sia tornata sui suoi passi riabilitando i mutui a tasso zero per studenti e nonostante siano passati vari mesi da questo evento, ancora oggi se cercate su Google “HSBC student loans” troverete i link ai siti di protesta e agli articoli che hanno parlato di questo scorretto comportamento. Pensate duqnue al poderoso danno d’immagine che HSBC ha subito, che fa capire (anche al più duro di comprendonio) quanto sia importante imparare (e anche in fretta) il linguaggio del Web 2.0.
In Italia il consumatore è sicuramente meno “evoluto” (in senso 2.0) rispetto a Regno Unito e Stati Uniti, ma sono convinto che con tempi italici anche noi arriveremo a quei livelli, quindi è bene che le nostrane aziende si abituino fin da subito a questa nuova onda che sta per arrivare e che se non è presa bene, può travolgere senza lasciare scampo.