Anche IBM non è rimasta immune alla recessione globale e ha così provveduto a inviare a più di 2.800 persone occupate presso i suoi dipartimenti di vendita software, negli Stati Uniti, avvisi di licenziamento.
I licenziamenti, comunicati in varie unità di vendita del gruppo dislocate in diversi stati americani, indicano che i tagli di posti di lavoro presso il gigante della tecnologia, potrebbe essere più significativo di quanto era stato affermato dalla società.
I ricavi nell’ultimo trimestre sono calati a causa delle fluttuazioni valutarie e dal declino della domanda da parte delle aziende produttrici di computer e semiconduttori.
Il portavoce di IBM ha ammesso che sono in corso diversi licenziamenti, ma si è rifiutato di commentare i numeri degli stessi. La società, che nel passato è stata molto criticata per aver trasferito parte della produzione in India, e in altre località dove la manodopera è meno costosa, si è mostrata riluttante nel fornire informazioni circa i previsti cambiamenti riguardanti la propria forza lavoro.
IBM ha inviato, a due gruppi di lavoratori colpiti dal provvedimento, una comunicazione contenente informazioni sull’azione della riduzione delle risorse umane, dove si specifica l’età e le mansioni dei selezionati, senza però fornirne i nominativi. Il totale delle posizioni della lista è di circa 2.850.
Secondo le informazioni fornite da una persona che ha ricevuto uno di questi avvisi di licenziamento, gli ingegneri colpiti da tale provvedimento sarebbero 839 su 9784; ossia circa l’8,6%, anche se non è facilmente determinabile la percentuale esatta.
Un tempo, un posto di lavoro in IBM era considerato sicuro per tutta la vita, ma le spese mastodontiche sostenute dalla società nei primi anni ’90 ne hanno pregiudicato l’andamento, impegnando il gruppo in massicci licenziamenti, sostituendo molti lavoratori, negli Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone, con lavoratori in India e altri paesi a basso costo.