Una startup dentro un colosso che ne le fa da incubatore: nasce così il progetto Watson, idea che IBM ha spiegato di voler gestire come un alveo a parte, protetto dalle pressioni del mercato, così da poter vedere crescere in tranquillità tutto il potenziale che l’ambizione esprime. In occasione dell’apposito workshop organizzato con Eni, IBM ha voluto raccontare Watson tramite i suoi responsabili diretti, spiegando così anche all’Italia come possa esserci una nuova frontiera da attraversare passando per il cognitive computing. Quel che manca sono le idee, gli stockholder, le interpolazioni con le quali il mercato può prendere forma.
Watson è un progetto nato nel 2006 e sul quale IBM conta di raggiungere risultati concreti di mercato non prima del 2017. Il motivo sta in tutta una serie di passaggi da attraversare: la maturazione dell’idea, l’affinamento delle procedure, ma soprattutto il contatto con tutte quelle parti che da Watson potrebbero trarre vantaggio. Per questo motivo la collaborazione con le università è un passaggio fondamentale per la formazione di quella classe di ingegneri che nel prossimo futuro dovrà immaginare e realizzare i sistemi che Watson sarà in grado di nutrire. C’è un ecosistema da creare, insomma: IBM è parte in causa, ma se vuol vedere il sistema impiegato su larga scala deve riuscire a rendere accessibile, comodo e diretto l’approccio esterno al progetto.
Nicola Ciniero, amministratore delegato di IBM Italia, ha spiegato come Watson non possa essere oggi giudicato con la lente del mercato. I motivi sono evidenti: così come il codice a barre ci ha impiegato circa 15 anni dall’idea all’invasione sul mercato, allo stesso modo Watson dovrà anzitutto costruire quella coscienza collettiva funzionale a generare interesse e investimenti in questa direzione. L’idea è però chiara: Watson ha il potenziale per essere il “browser” della rete del futuro, cardine dell’organizzazione delle informazioni e viatico fondamentale per le applicazioni di nuova generazione.
Cosa può fare Watson
Per far capire al mondo intero cosa sia in grado di fare Watson, IBM lo ha messo a confronto con l’essere umano nel 2011 in occasione di una speciale puntata di Jeopardy, gioco televisivo statunitense nel quale si hanno pochi secondi per rispondere a domande complesse. La macchina si è dimostrata in tal caso competitiva con l’uomo, in grado quindi di gestire informazioni non strutturate per trasformarle in query prima, relazioni poi e risposte infine. Watson ha vinto, peraltro in una fase di sviluppo nella quale i margini di crescita erano ancora molto ampi. L’obiettivo è però stato raggiunto: tutto il mondo ha saputo che Watson è in grado di fare grandi cose. Quali, però, per l’esattezza?
Dal mondo sanitario alla pubblica amministrazione, dall’organizzazione di impresa ai servizi di assistenza ai clienti, Watson è un tassello aggiuntivo all’intelligenza aziendale, tale per cui diventi possibile disporre di informazioni nuove sulle quali costruire valore. L’uomo chiede, Watson “pensa”, l’uomo decide: il processo implica nuovi equilibri tra uomo e macchina, ma comporta altresì una maggior quantità di evidenze sulle quali pesare i dati disponibili (soprattutto se l’ordine dei dati è quello dei “Big Data”).
A inizio 2014 Watson aveva già coinvolto 750 entità tra grandi aziende e piccole startup: tale massa di progetti è in fase di valutazione per la scelta degli “explorer” che avranno la possibilità di avvalersi di Watson per costruire i propri servizi. All’interno di IBM, Watson è al centro del progetto “Watson IT” basato sull’uso del cognitive computing nell’organizzazione dei processi aziendali; in Italia, invece, Watson potrebbe avere un ruolo importante in occasione dell’Expo 2015, sebbene al momento le parti non abbiano ancora offerto informazioni dettagliate in merito.
Watson è la scommessa sulla quale IBM ha scommesso oggi risorse nella speranza di vederle moltiplicate nel prossimo futuro: una “startup” nella forma, ma con l’essenza di un grande credo sul quale l’azienda ha riposto importanti speranze.
Inutile parlare di modelli di business oggi, quindi: se ipoteticamente si può pensare a sistemi del tutto simili a quelli con i quali vien gestita la vendita dei servizi cloud, Watson è però una realtà a parte che con ogni probabilità verrà adattata “ad hoc” per molte realtà che la metteranno al centro delle proprie attività. Watson è però soltanto un ecosistema, sul quale in molti potranno tentare di costruire valore: sarà a quel punto che Watson potrà iniziare ad esprimere davvero tutto il potenziale che IBM intravede oggi nell’idea fatta a startup.