L'ICANN inciampa ancora sui nuovi domini

L'ICANN ha portato offline, e quindi ripristinato, l'area relativa ai nuovi gTLD poiché farcita di dati personali che non dovevano arrivare online.
L'ICANN inciampa ancora sui nuovi domini
L'ICANN ha portato offline, e quindi ripristinato, l'area relativa ai nuovi gTLD poiché farcita di dati personali che non dovevano arrivare online.

Il percorso verso l’approvazione di una nuova serie di domini che andranno a popolare il mondo del Web è stato problematico fin dall’inizio, ma soltanto nelle ultime ore l’ICANN ha vissuto una nuova parentesi grigia che va a macchiare ulteriormente un passo di per sé già fragile per la novità che porta in seno. Una nuova involontaria violazione della privacy, infatti, ha messo a repentaglio la sicurezza dei proponenti, risultando in una richiesta pubblica di scuse e nella correzione di quanto portato online nei giorni passati.

I nuovi domini sono stati per lunghi mesi avversati per il nuovo principio che li supporta: ai tradizionali ed istituzionali .com, .it, .net, eccetera, infatti, si affiancheranno ora dei più “commerciali” nomi proposti da aziende private (es. .Apple, .Fiat, .Android, eccetera). Il primo inciampo è avvenuto all’apertura della finestra delle proposte, quando l’ICANN si trovò costretta ad interrompere le procedure in conseguenza di un problema tecnico che ha imposto la chiusura del modulo ed il rinvio dei termini per le proposte. Quando tutto sembrava andato a buon fine, però, ecco l’ennesima caduta.

L’ICANN, dopo aver pubblicato le oltre 1900 proposte ricevute, ha dovuto fare ammenda: nel flusso delle informazioni pubblicate sono finiti anche dati che non dovevano arrivare online. Trattasi delle informazioni compilate nei moduli 6 e 7 dell’apposito schema di proposta, relativi ad indirizzi relativi ai singoli proponenti.

Dapprima l’ICANN ha cancellato i dati portando offline l’intera area pubblica relativa ai nuovi gTLD (pagine sulle quali è possibile prendere visione delle proposte per, eventualmente, cancellarle), quindi ha chiesto venia ed ha ripristinato il tutto depurando le tabelle dalle informazioni riservate.

Ogni proponente ha pagato la bellezza di 185 mila dollari per ogni dominio candidato (il che, per gruppi quali Amazon e Google, significa vari milioni di euro): un servizio più attento da parte dell’ICANN, anche alla luce dell’importanza della svolta imposta, era quantomeno auspicabile.

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