Numeri, odiosi quando segnalano brutte situazioni, cali, insufficienze, mancanze. Numeri, sempre loro, ben visti quando portano speranza, danno certezze, aprono varchi in situazioni difficili.
È il caso, quest’ultimo, dell’ICT italiano, per il quale si intravede uno spiraglio, una luce in fondo ad un tunnel oscuro. Almeno, questo è quando detto dal rapporto annuale stilato dalla INSEAD Business School di Parigi, e reso pubblico in occasione dell’ultimo e recente Global Innovation Index 2008-2009.
In questa indagine, gli esperti dell’ICT mondiale hanno reso nota una classifica dell’innovazione: dal paese più tecnologicamente innovativo, al peggiore, in tutto il mondo.
Prima di analizzare i parametri utilizzati per l’analisi, una buona notizia: l’Italia è risultata tra i primi cinquanta paesi. Ma non finisce qui, perché il 50esimo posto è ben lontano; il Belpaese si piazza alla 31esima posizione.
Non è un trionfo, certo, ma tale piazzamento rispecchia un buon rapporto tra investimenti fatti e benefici ottenuti. Significativi sono i vantaggi derivanti dai marchi di fabbrica della penisola italica: esportazione di prodotti manifatturieri di qualità e macchinari di produzione ad alto valore tecnologico.
Per quel che riguarda i parametri per la creazione di questa speciale graduatoria, gli studiosi della INSEAD Business School hanno tenuto conto e preso in considerazione indici e valori di altri rapporti ufficiali (Banca Mondiale, Nazioni Unite, World Economic Forum).
Tornando all’Italia, e tenendo conto di come lo studio abbia preso in riferimento vari livelli di una società (privati, imprese, economia, politica), non si può che essere fiduciosi per il futuro, ben consci, comunque, che il baratro tecnologico è dietro l’angolo.
Ma, forse, essersi resi conto di come l’ICT, utilizzato attraverso uno sfruttamento intelligente delle proprie risorse, rappresenti la strada verso la risalita, è già tanto.