Chi è lo startupper italiano? Che istruzione ha, cosa pensa di sé e del suo business, quali sono le sue aspettative? Dall’analisi condotta da Grs net su un campione di oltre 400 startup, di cui 2 terzi iscritte al registro creato dal Ministero dello Sviluppo Economico, emergono le qualità prevalenti nelle figure dei founder italiani: sono più che trentenni quasi sempre con alti titoli di studio.
Lo startupper italiano ha un’età prevalente compresa fra i 30 e i 49 anni. Gli under 30 e gli over 50 numericamente tendono ad equivalersi (rispettivamente 15,2% e 14,4% dei rispondenti), una laurea di secondo livello, post laurea o dottorato in oltre il 70% dei casi (5,2% di questi hanno conseguito un dottorato o PhD). Questa caratteristica mette in luce il peso statistico di un periodo di tempo nel quale l’imprenditore è stato impegnato a livello professionale prima di creare un’impresa innovativa. Un valore aggiunto, quello della preparazione, che in Italia si rivela particolarmente importante e in netto contrasto con la percezione più diffusa che vede lo startupper come un giovane genio guidato solo dall’intuito e con scarsa preparazione sul mercato. Senza dubbio molti casi di startup di successo sono legati a questo tipo di figura, ma non è quella più diffusa.
Laurea + esperienza, ecco l'identikit dello #startupper italiano: https://t.co/KAPPQBxTKh #ISvoice pic.twitter.com/iaY6Vy4Kub
— InnovUp (@INNOVUPnet) September 16, 2015
Discorso diverso per gli Stati Uniti, dove è nato questo modello: uno studio condotto dalla Kauffman Foundation e basato su interviste effettuate a 549 founder di startup di successo nel paese a stelle e strisce mostra età media e titoli accademici più bassi, startup di enorme successo e orientate al pubblico di massa sono stati fondate quando l’imprenditore aveva una trentina d’anni e solamente il 47% ha proseguito gli studi oltre la laurea di primo livello.
Un altro aspetto interessante della ricerca è la massiva prevalenza di attività legate al B2B Business-to-Business (47,2%) e al B2B2C Business-to-Business-to-Consumer (34,8%) che evidenzia un approccio al miglioramento del settore nel quale gli startupper hanno operato nel corso della loro vita professionale, anche in questo caso viene smontato il clichè del founder “selvatico”.
Marco Bicocchi Pichi, presidente di Italia Startup – tornato di recente dal DLD di Tel Aviv – è convinto che queste peculiarità siano interessanti per le medie e grandi imprese:
I nuovi founder hanno una preparazione di alto livello, va messa a disposizione dell’economia del paese, innescando un circolo virtuoso nel quale queste nuove realtà possano interagire con le medie e grandi imprese italiane. Le professionalità che oggi creano impresa stanno realizzando progetti di alta specializzazione che potrebbero determinare la creazione di cluster specifici, e le figure degli attuali founder non giovanissimi che verrebbero immessi in un contesto per loro naturale delinea un nuovo sistema di economia della conoscenza in una logica di open innovation.
Secondo Enrico Gallorini, consigliere di Italia Startup e autore di questa ricerca, va rivisto lo stereotipo dello startupper del Belpaese, soprattutto alla luce della preparazione accademica:
In un sistema complesso e mutevole come quello in cui ci muoviamo, le persone, le organizzazioni e le aziende italiane hanno sempre più bisogno di partire da una preparazione e professionalità estremamente elevate, e continuare ad investire in aggiornamento e formazione per generare e garantire valore.