Il fair use è economicamente sostenibile?

Una causa che ha coinvolto una piccola produzione documentaristica da una parte e Yoko Ono con la EMI dall'altra sembra dimostrare che il diritto al fair use non può essere rivendicato e difeso da chi non ha abbastanza soldi per permettersi una causa
Il fair use è economicamente sostenibile?
Una causa che ha coinvolto una piccola produzione documentaristica da una parte e Yoko Ono con la EMI dall'altra sembra dimostrare che il diritto al fair use non può essere rivendicato e difeso da chi non ha abbastanza soldi per permettersi una causa

Yoko Ono e la EMI hanno ritirato le accuse che avevano trascinato in tribunale gli autori di “Expelled: No Intelligence Allowed“. Trattasi di un documentario che usa, in ottemperanza al fair use, 15 secondi di “Imagine”, la canzone del defunto marito John Lennon.

Le accuse tuttavia non sono cadute per una capitolazione della coriacea Ono, ma perchè sia il tribunale statale che quello federale avrebbero respinto la richiesta di ritiro del film. L’importanza della causa però sembra più legata a come abbia riportato in auge il dibattito su cosa si intenda per “fair use” e sulla possibilità di sostenere il diritto alla sua applicazione.

Secondo gli autori del documentario e i loro avvocati si tratta palesemente di fair use: «Pensiamo che fosse chiaro dall’inizio che i nostri clienti avevano tutto il diritto di usare un passaggio di Imagine come hanno fatto e siamo felici di aver rivendicato quel diritto» sono le parole di Anthony Falzone, docente di legge di Stanford e principale consigliere giuridico della Premise Media, la società che ha prodotto il documentario.

“Expelled: No Intelligence Allowed” è un documentario sulle discriminazioni che devono subire da parte dei colleghi gli scienziati e i professori che sostengono al teoria del disegno intelligente contro quella dell’evoluzione darwinista. In tale senso la riproduzione di 15 secondi da Imagine era palesemente intesa come una critica del suo testo e proprio la funzione di “critica” è una di quelle accettate nella definizione di fair use.

Tuttavia il problema che giustamente Anthony Falzone solleva nel suo blog è un altro: utilizzare un brano secondo il fair use (che è un diritto di chiunque) non è economicamente sostenibile per i piccoli produttori poichè richiede uno spostamento di soldi in termini di avvocati che non tutti possono permettersi. Loro infatti sono riusciti a vincere solo perchè appoggiati dagli avvocati di Stanford che hanno lavorato gratis.

Ad ulteriore beffa il film uscirà lo stesso in DVD senza la canzone poichè non ci sono stati i tempi tecnici utili ad attendere la sentenza. Inoltre i distributori non hanno visto di buon occhio la causa pendente penalizzandone l’uscita. Il caso nasce in ambito cinematografico, ma l’applicazione al web di tale giurisprudenza deve sottostare ad identici parametri: in un momento di grande spolvero per gli user generated content ed il video online, il “fair use” diventa pertanto un elemento dalla cui definizione può discernere un aspetto fondamentale del diritto in rete.

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