Il Dalai Lama ha un account su Twitter. Anzi no. La notizia è giunta nella giornata di ieri quando ormai 20.000 persone erano diventate seguaci (non spirituali, ma su Twitter) dei presunti messaggi del leader spirituale del Tibet.
In realtà era l’ennesimo caso di impersonificazione non autorizzata in rete. A farlo notare alla stampa è stato proprio l’entourage del Dalai Lama che evidentemente, venuto a sapere di ciò che stava accadendo, ha voluto subito bloccare la situazione.
In passato erano già accaduti, e ancora accadranno, furti d’identità simili eppure mai un impostore aveva ottenuto 20.000 iscrizioni al proprio profilo e mai si era verificato un seguito simile. Tanto che ora l’account in questione, @ohhdl, è tornato in piedi salvo specificare che non si tratta del vero Dalai Lama.
La questione solleva più che in altri casi l’interrogativo su quanto l’impersonificazione di altre personalità sia un “furto” e quanto sia un modo di svelare bisogni e necessità del popolo della rete. 20.000 iscrizioni in pochissimo tempo testimoniano una forte voglia di seguire le perle dell’illuminato ogni giorno e in 140 caratteri. Una dimostrazione pratica di quello spiritualismo anche blando che è caratteristica moderna del popolo occidentale.
Ma al di là delle aspirazioni personali, la sempre più invasiva e pervasiva penetrazione di Twitter crea problemi anche più seri, segno che ormai sta cominciando ad incidere nella realtà di tutti i giorni. È notizia di ieri, infatti, che le truppe statunitensi in Iraq hanno ricevuto un divieto formale di utilizzare i “cinguettii” poichè potrebbero fornire informazioni sensibili al nemico. Tutto ha preso il via quando un membro del congresso in visita alle truppe, Pete Hoekstra, ha “cinguettato” alcuni particolari relativi al suo viaggio, cosa che non è in alcun modo piaciuta al Pentagono. Hoekstra si è difeso sostenendo che tiene sempre aggiornati i suoi elettori con tali modalità.