La tensione tra la Cina e Google giunge nuovamente a temperature estremamente pericolose. Dapprima lo scontro sui servizi di ricerca, poi le incomprensioni sui servizi mappali per il rinnovo delle licenze, ora anche le indagini per inadempienze con il fisco.
Secondo le autorità cinesi sarebbero tre le compagnie coinvolte: Google Information Technology (China) Co., Google Advertising (Shanghai) Co. e Google Information Technology (Shanghai) Co., tutte facenti capo direttamente alla direzione centrale di Google. Secondo l’accusa i tre gruppi avrebbero consegnato al fisco ricevute fasulle o relative a servizi non correlati (quali sedute di massaggi), il tutto per una violazione totale pari a 40 milioni di yuan (6 milioni di dollari circa).
Google al momento non entra nel merito, ma respinge con forza le accuse, ritenendo fortemente esagerato il caso e spiegando di essere sempre stata in linea con le normative locali. La contestazione delle autorità non sembra però essere interpretabile come fine a se stessa: lo scontro tra le parti è di vecchia data ed i rapporti sono ormai divenuti a tolleranza zero. La realtà della violazione, quindi, è un aspetto per molti versi secondario della vicenda: il succo è in un rapporto ormai ai minimi termini tra il più grande colosso internet del mondo ed il più grande bacino d’utenza esistente.
Nei giorni passati Google ha già dovuto subire un ulteriore colpo basso proveniente dal portale Sina, tra i maggiori sul territorio cinese. Per semplice opportunità, infatti, il portale ha scelto di depennare il search box di Google spiegando che la cosa comportava problemi di performance agli utenti per via delle limitazioni funzionali imposte al motore americano. Con Baidu sempre più all’arrembaggio, il mercato oltre la muraglia sta diventando a questo punto per Google una realtà nei fatti off-limits.