Anche Il Foglio scende in campo sul caso Mentana. Nel momento in cui il giornalista ha abbandonato il social network con un “saluto finale”, immediatamente il dibattito è esploso deflagrando nei salotti bene del giornalismo, dai quali il dito è stato puntato contro il “popolo della Rete”. Un dibattito pieno di sfumature devianti, di giudizi precostituiti e malcelato senso di rivalsa. Un ambiente che si sente usurpato della priorità del ruolo interpretativo della società (ruolo che ha in realtà abbandonato, colpevolmente, in uno svuotamento progressivo di etica e professionalità) cerca di vendicarsi contro il nemico virtuale ed immaginario, identificato generalmente in quella stessa community che i media tradizionali cercano ossessivamente online.
Il Foglio non perde l’occasione e, spingendo oltre la direzione intrapresa già da Massimo Gramellini con il suo “Buongiorno” di ieri, sfodera un editoriale nel quale si concentra l’essenza della battaglia anti-Web che una certa fazione trasversale si sta preparando a combattere. Lo spunto è una polemica sulla Mafia, ma va ben oltre: l’attacco è contro Twitter e per estensione contro uno strumento intero, identificato superficialmente ed erroneamente nelle sue espressioni più violente e maleducate. Un attacco diretto, fatto di parole forti, costruito verbalmente attorno ad un intento bellicoso che non può passare inosservato:
L’argomento è imprendibile, fa drizzare i nervi dei giusti e dei forsennati, dei tetragoni, dei non-lettori da 140 caratteri, quell’utente anonimo da novanta follower, più o meno la somma dei suoi amici e parenti, che non conosce le sfumature, che usa Twitter come strumento di scarico, il mezzo che ti dà l’opportunità di poter duettare con @DeBortoliF, il direttore del Corriere della Sera, nella lancinante speranza di una sua risposta che legittimi la tua stessa esistenza. @ferrarailgrasso, che ha evidentemente stazza, resiste e si diverte. @ementana invece lascia, e mi dice, un po’ seccato, che “la questione della mafia non c’entra niente. È una storia diversa, ho capito che non ci si può confrontare con una marea montante di gente che vuole solo menare le mani”.
- “non lettori da 140 caratteri“: una generalizzazione interessante, estendibile però anche ai “non scrittori da 140 caratteri” a questo punto, spesso e volentieri giornalisti con firma altisonante che in 140 caratteri cercano maggior eco per le proprie gesta su carta o in tv;
- “utente anonimo da 90 follower“: ebbene sì, c’è ancora chi conta i follower passando questa misura come elemento di confronto valido ed intelligente, occorre farsene una ragione;
- “il mezzo che ti dà l’opportunità di duettare con Ferruccio De Bortoli, nella lancinante speranza di una sua risposta che legittimi la tua stessa esistenza“: una frase nella quale c’è tutto: un’elevazione della casta dei giornalisti in grado di “benedire” le masse con un tweet; l’ignorare completamente la natura intrinseca di strumenti che si basano per vocazione sull’interazione, sul contatto, sulla contaminazione reciproca; il non considerare la struttura orizzontale di uno strumento che per definizione mette tutti alla pari aprendo ad ogni tentativo di dibattito (con chiunque), consentendo di negare qualunque tentativo ricevuto e che pretende comunque almeno un abbozzo o una propensione al dialogo (senza imporlo comunque ad alcuno);
- “ho capito che non ci si può confrontare con una marea montante di gente che vuole solo menare le mani“: no, in realtà no ci si può confrontare con una marea di gente, a prescindere dalle sue finalità: questa non è la televisione.
Precisazioni di fatto inutili, ma di fatto necessarie. Precisazioni che un certo tipo di giornalismo non accetta poiché provenienti dal Web, “dal basso”. Precisazioni ovvie per chi conosce la Rete, ma utili per chi la interpreta basandosi su assunti che giungono da mondi, generazioni e culture differenti (e spesso attivamente ostili). Precisazioni doverose nei giorni in cui il rumore dei nemici del Web ha trovato nuovi motivi per coalizzare ed esacerbare una battaglia ideologica fatta di tanti ingredienti, qualche attore e molto rumore di fondo.
#ilrumoredeinemici
storia di una guerra ideologica