Tutte le agenzie e i media internazionali sono presenti massicciamente sui social network, con milioni di seguaci, in particolare su Twitter, protagonista anche nel 2011 degli episodi di cronaca globali grazie alla sua velocità. Eppure molta della popolarità dei tweet in questione è dovuta agli account personali dei giornalisti.
La statistica è frutto di un lungo e interessante report (PDF) dell’International Journal of Communication, intitolato «La Primavera araba. Le rivoluzioni twittate. Flussi informativi durante il 2011 nelle rivoluzioni tunisina ed egiziana». Due eventi enormi della geopolitica mondiale, insomma, – in un’area peraltro ancora non pacificata – sui quali è stato utile e più facile indagare il rapporto fra le diverse origini dei tweet (attivisti, blogger, giornalisti, media mainstream) che in quei mesi hanno raccontato una rivoluzione popolare.
Analizzando più di 150.000 tweet con l’hashtag #sidibouzid inviati dal 12 al 19 gennaio 2011, e oltre 200.000 tweet inviati dal 24 al 29 gennaio 2011 contenenti il famosissimo hashtag #Jan25, lo studio ha tracciato alcuni elementi costanti. Come già detto in altre occasioni, il ruolo dell’informazione classica, del giornalismo professionale, è tutt’altro che messo in secondo piano: anche nell’era del web 2.0 e dei blog, i grandi mezzi di informazione sono responsabili di buona parte del flusso informativo. Tuttavia, la particolarità notata nel caso di Tunisia ed Egitto è che i tweet personali dei giornalisti hanno sempre avuto una probabilità più alta di quelli ufficiali – anche quando identici – di essere re-twettati. Un rapporto quasi senza confronto: 70% contro 30%.
I resoconti dei media mainstream ottengono, in media, 16 tweet di risposta. Per intenderci, gli account Twitter di celebrità e politici può superare i 60. Ma i giornalisti sul campo durante quelle settimane drammatiche quando hanno twittato personalmente hanno ottenuto una media di 22 risposte. Solo una questione psicologica, legata al fatto che gli utenti si aspettano che una replica ad un account personale abbia più probabilità di attivare una relazione rispetto all’account di una società? Può essere, ma non si tratta solo di questo.
L’utenza utilizzante Twitter si aspetta molto da blogger, giornalisti e attivisti, che insieme rappresentano il 43% di tutto il flusso informativo, ma i quali hanno anche ruoli differenti, come spiega lo studio:
«In entrambi i set di dati, giornalisti e attivisti servono principalmente come fonti di informazioni chiave, mentre i blogger e altri attivisti hanno maggiori probabilità di retweettare il contenuto e, quindi, fungono da router di informazioni. In entrambi i set di dati, i contenuti del giornalista tendono ad essere aggiornati frequentemente, da blogger, attivisti e altri giornalisti.»
L’estensione del dominio della rete nel mondo dell’informazione passa dunque per vari gradi di influenza in cui la credibilità del singolo giornalista gioca il ruolo determinante: una sorta di faccia a faccia con milioni di followers. L’accountability dei media passerà da questa strettoia, nella quale – buona notizia – anche i freelance potrebbero trovare molta audience.