La chiusura di Megaupload e di Megavideo ha sollevato fitte proteste sul Web, non solo da parte di utenti inferociti per l’azione dell’FBI, ma anche tramite gli attacchi DDoS di Anonymous ai siti dei protettori del diritto d’autore, degli enti governativi e delle major dell’intrattenimento. Su Twitter si parla già di “Prima guerra digitale” con tanto di hashtag dedicato, tuttavia nelle ultime ore è emerso un’altro fattore da tenere in stretta considerazione: il lato buono di MegaUpload.
Sebbene il servizio di web hosting e di streaming spopolasse proprio per l’infinita disponibilità di contenuti in violazione del copyright, sono molti oggi a chiedersi se non sia stato un sopruso bloccarne anche le attività perfettamente lecite. Perché Megaupload ha permesso di condividere anche contenuti perfettamente legali, non coperti da diritto d’autore, distribuiti tramite le leggi del Creative Commons o, semplicemente, ha costituito un backup online dei documenti personali degli utenti.
L’FBI ha preferito fare di tutta l’erba un fascio e disattivare in toto i server, ma la domanda che scorre sui social network è unanime: che fine faranno i contenuti legali degli utenti? Chi ripagherà gli user per tutti i GB cancellati senza giustificabile motivazione, in alcuni casi essenziali per un il normale prosieguo di un’attività lavorativa? E le tariffe per gli abbonamenti premium diverranno un tesoretto a fondo perduto?
Si potrebbe obiettare che, utilizzando un servizio palesemente in odor di pirateria, di certo non ci si potesse aspettare un epilogo diverso: forse non è stato lungimirante salvare ricordi, materiali di lavoro, progetti su un portale che, prima o poi, avrebbe di certo incontrato la scure della legge. Ma a livello di principio la lamentela rimane valida: grazie a quale tipo di autorità le istituzioni eliminano contenuti perfettamente legali? E, ancora, il legislatore non dovrebbe dotarsi di strumenti tecnologici per effettuare una cernita tra file effettivamente pirata e altri legittimi? Nonostante la protesta sui social network, le speranze che tali materiali vengano recuperati è prossima – se non pari – allo zero, quindi gli utenti si dovranno dotarsi di spirito di rassegnazione.
Non sono solo le vittime di cancellazione immotivata, infine, a lamentarsi per il provvedimento contro Megaupload. Pare che in molti stiano elogiando le capacità di “diffondere cultura” del portale, anche se in piena violazione della proprietà intellettuale altrui. Film ormai non più disponibili nei negozi né nei cataloghi delle major, come i nostalgici brat pack, serie TV che non riescono a sfondare gli insormontabili confini geografici del marketing, canzoni di artisti a cui la discografia ha negato la distribuzione perché, semplicemente, troppo ricercati in un periodo in cui le varie Lady Gaga, Rihanna, Katy Perry vanno per la maggiore. Si tratta di un archivio di inestimabile valenza simbolica, che sarà davvero difficile da recuperare.
Ma per l’avvocato del diavolo i discorsi su legittimità e cultura saranno probabilmente vani: le accuse contro Megaupload sono troppe e troppo circostanziate per consentire l’emersione del lato buono di una mela troppo marcia per essere ulteriormente tollerata.