Il cloud computing deve essere aperto, flessibile e interoperabile. Non hanno dubbi in proposito le aziende che, assieme a IBM, hanno da poco sottoscritto il patto Open Cloud Manifesto per creare una piattaforma di lavoro comune e condivisa per armonizzare e rendere compatibili le loro soluzioni legate all’informatica tra le nuvole. Al momento, però, l’accordo sembra avere principalmente un valore simbolico e all’appello mancano grandi società come Microsoft, Google e Amazon.
Nato in poche settimane, sotto la spinta di IBM, il manifesto mira a creare maggiore consapevolezza tra i soggetti attivi nella creazione di sistemi cloud sulle problematiche legate a una scarsa interoperabilità delle loro soluzioni. L’informatica tra le nuvole è in pieno sviluppo, ma secondo i promotori del documento rischia di crescere in una sostanziale assenza di regole, con conseguenze pesanti per le aziende intenzionate a utilizzare i servizi cloud per snellire e semplificare la gestione dei loro apparati informatici. L’assenza di compatibilità e flessibilità tra sistemi diversi potrebbe impedire a una azienda di passare da un servizio cloud proprietario a un altro, riducendo così le sue opportunità di espansione e al tempo stesso la concorrenza nel settore dell’informatica tra le nuvole. Inoltre, l’impossibilità di far dialogare sistemi diversi, potrebbe impedire a una società di utilizzare e integrare due sistemi cloud per meglio rispondere alle proprie esigenze di gestione ed elaborazione dei dati.
L’Open Cloud Manifesto mira dunque ad abbattere le principali barriere tra i sistemi cloud, promuovendo l’adozione di una base di standard aperti condivisi per superare gli attuali ostacoli. Al progetto hanno già aderito numerose aziende attive nel cloud computing tra le quali spiccano: Akamai, AMD, AT&T, Cisco, EMC, IBM, Juniper, Novell, Red Hat e Sun Microsystems. In tutto sono circa una quarantina le società che si riconoscono nei principi stabiliti dal nuovo manifesto, sei pilastri sui quali costruire le prossime soluzioni software per il cloud computing. Eccoli in sintesi:
- I fornitori di servizi cloud devono lavorare insieme per assicurare che le sfide legate all’adozione di soluzioni tra le nuvole (sicurezza, integrazione, portabilità, interoperabilità, amministrazione e gestione, misurazione e monitoraggio) siano affrontate attraverso un sistema collaborativo e l’appropriato utilizzo degli standard.
- I fornitori di servizi cloud non devono sfruttare la loro posizione sul mercato per chiudere i clienti nelle loro specifiche piattaforme e limitare così la scelta dei fornitori di servizi.
- I fornitori di servizi cloud devono utilizzare gli attuali standard ogniqualvolta ciò sia possibile. L’industria dell’IT ha investito molto negli attuali standard e nell’organizzazione degli stessi; non c’è alcuna necessità di duplicarli o reinventarli.
- Nel caso in cui si rendano necessari nuovi standard (o aggiustamenti agli attuali standard), dovremo essere giudiziosi e pragmatici così da evitare la creazione di troppi standard. Dobbiamo fare in modo che i nuovi standard promuovano l’innovazione e non la inibiscano.
- Qualsiasi sforzo intorno al cloud aperto dovrebbe essere guidato dalle necessità del cliente, non solamente dalle necessità tecniche dei fornitori di servizi, e dovrebbe essere testato e verificato a fronte delle reali richieste del cliente.
- Le associazioni per gli standard nel cloud computing, i gruppi di pressione e le comunità dovrebbero lavorare insieme e in maniera coordinata, assicurandosi che le varie iniziative non siano in conflitto o sovrapposizione tra loro.
Nonostante il manifesto sia stato sottoscritto da un ampio numero di soggetti attivi da tempo nel cloud computing, all’appello mancano ancora alcune importanti società come Microsoft, Salesforce, Amazon, Oracle e Google. Il colosso dell’informatica di Redmond ha preferito non sottoscrivere l’accordo motivando la propria decisione in un lungo post pubblicato la scorsa settimana su uno dei suoi blog: «Siamo rimasti delusi dalla mancanza di apertura nella realizzazione del Cloud Manifesto. Da cosa abbiamo potuto capire, non c’era alcun desiderio di confrontarsi, né tantomeno di apportare migliorie al documento, nonostante la nostra esperienza sul campo. Recentemente ci hanno mostrato una copia del documento, avvisandoci che si trattava di un segreto e che avremmo dovuto firmarlo “così com’era”, senza modifiche o nuove proposte. Ci è sembrato che una società, o una piccola quantità di aziende, preferisca controllare l’evoluzione del cloud computing, vista l’opposizione a raggiungere un accordo tra i principali soggetti in campo (inclusi gli utenti del cloud computing) attraverso una procedura “aperta”».
Altre società che non hanno sottoscritto il manifesto, come Amazon, HP e Salesforce, hanno sottolineato come il documento fino a ora prodotto sia eccessivamente generico e dunque poco utile per portare ordine nel dinamico settore dell’informatica tra le nuvole; Salesoforce ritiene, inoltre, di adottare già numerose tecnologie aperte nelle soluzioni offerte ai suoi partner e clienti. La posizione di Google appare al momento meno decifrabile: inizialmente la società di Mountain View sembrava essere interessata al progetto e figurava anche nelle liste preliminari dei sottoscrittori. La decisione di alcuni big come Microsoft, Amazon e Salesforce di non partecipare per ora all’Open Cloud Manifesto ha probabilmente indotto Google ad assumere una posizione maggiormente attendista, in attesa dei prossimi sviluppi del controverso progetto.